Un’avventura nei testi inseguendo autografi e varianti: da Petrarca a Manzoni
Alias Domenica

Un’avventura nei testi inseguendo autografi e varianti: da Petrarca a Manzoni

Saggi di filologia «Gli “scartafacci” degli scrittori», a cura di Christian Del Vento e Pierre Musitelli, Carocci editore
Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 settembre 2023

Nel giugno 1783 Vittorio Alfieri, che stava effettuando un lungo viaggio attraverso l’Italia e l’Europa per promuovere la recente edizione delle sue tragedie, fece una sosta a Ferrara e visitò non solo la casa e la tomba di Ariosto, ma consultò anche i manoscritti del Furioso conservati nella Biblioteca comunale. E volle trascrivere su un esemplare in sedicesimo del poema che aveva con sé alcune stanze, annotando accuratamente anche le modifiche apportate dall’autore.

Con questo episodio, che testimonia un vivace e sorprendente interesse per le varianti d’autore, si apre Gli “scartafacci” degli scrittori I sentieri della creazione letteraria in Italia (secc. XIV-XIX) a cura di Christian Del Vento e Pierre Musitelli (Carocci editore, pp. 378, € 35,00).

Nella prima parte due densi saggi, di Del Vento e di Paola Italia, ricostruiscono l’avventurosa storia della critica delle varianti, che il severo diniego di Benedetto Croce bollò come critica degli «scartafacci». Segue, nella seconda parte, una ricchissima serie di interventi che, attraverso l’analisi degli autografi e la fenomenologia delle varianti, mostrano come il «rapporto di scrittura» fra l’autore e il proprio testo possa essere decisivo per l’interpretazione.

Sono presi in considerazione il «Codice degli abbozzi» di Petrarca (Alessandro Panchieri), gli Zibaldoni di Boccaccio (Claude Cazalé Bérard), Ariosto (Simone Albonico), la libreria di Tasso (Franco Tomasi), le carte di Marino (Clizia Carminati), e, per il Sette-Ottocento, il carteggio di Pietro e Alessando Verri (Musitelli), la Vita di Alfieri (Monica Zanardo), i Canti di Leopardi (Margherita Centenari), i Promessi sposi (Giulia Raboni). Chiude il volume un’intervista a Gianni Francioni, editore dei «testi in movimento» di Beccaria e di Gramsci.

Nel saggio iniziale Del Vento, illuminando gli albori della critica delle varianti, mette opportunamente in primo piano il Codice Vat. lat. 3196, noto come «Codice degli abbozzi», dove sono conservate le mutazioni di Petraca nell’elaborazione del Canzoniere.

La pubblicazione del codice, per opera di Federico Ubaldini, nel 1642, su base diplomatico-topografica, con l’uso di sofisticati artifici tipografici, segnò un momento fondamentale. Ma già nel Cinquecento Pietro Bembo, con le Prose della volgar lingua, avviava una sorta di «filologia d’autore»: celebre è la sua analisi delle varianti del sonetto proemiale del Canzoniere, Voi, ch’ascoltate in rime sparse il suono.

Nei saggi della seconda parte del libro l’analisi si confronta con una pluralità di forme tra loro connesse: le diverse versioni a stampa della stessa opera, la stratificazione delle varianti conservata negli «scartafacci», le note marginali apportate nelle opere possedute dagli autori, l’archivio dove l’autore raccoglie i suoi materiali e i suoi pensieri. Per Petrarca è straordinario il significato del «Codice degli abbozzi», che ci permette di cogliere le ragioni e i principi strutturanti del Canzoniere, in particolare attraverso le annotazioni che riferiscono tempi e occasioni e ragioni della genesi dei testi e delle loro varianti.

È per l’autore uno strumento di lavoro per ripensare il rapporto con la propria opera – questo codice e le pergamene del Canzoniere viaggiano insieme nel bagaglio del poeta – nel quadro delle trasformazioni del progetto complessivo e della stessa costruzione dell’«Io poetico».

Vertiginoso è il recupero di Voglia mi sprona, Amor mi guida e scorge, prima scartato con un marcato tratto diagonale, e anni dopo, con mutato sentimento, felicemente ripreso.

C’è uno stretto legame tra la soluzione esperita dall’Ubaldini per il Canzoniere e i Frammnenti autografi dell’Orlando furioso con cui Santorre Debenedetti, nel 1937, rappresentò la situazione di importanti autografi ariosteschi. Debenedetti, adottando un criterio fondamentalmente «mimetico», che si sforzava di riprodurre l’aspetto del manoscritto, riuscì agevolmente a dar conto delle correzioni e a interpretarle.

Lo studio dell’archivio di uno scrittore può essere uno strumento prezioso per entrare nel cuore della sua opera. Gli Zibaldoni di Boccaccio – i due della Laurenziana e quello Magliabechiano – non sono una biblioteca passiva, ma piuttosto un complesso laboratorio: l’autore riprenderà spesso nelle sue opere, citando e commentando, i testi di cui è stato a suo tempo interessato e appassionato copista.

Così l’analisi delle postille di molti volumi conservati nella biblioteca di Torquato Tasso ci permette di illustrare come dalla lettura si passi a un’annotazione marginale, per giungere poi all’inserimento della singola tessera del testo postillato all’interno di una poesia o di una prosa. È un personalissimo «strumento di navigazione», come mostrano, in modo esemplare, le numerose postille alle Enneadi di Plotino.

Diversamente, gli autografi del Marino, che rivelano un’attenzione quasi maniacale al testo e alla sua riscrittura, sono un’arma strategica di autopromozione presso potenti mecenati e, insieme, documenti del modo con cui l’autore disegna la propria brillante figura di letterato.

Molto particolare è il caso del carteggio di Pietro e Alessandro Verri, che non solo documenta la genesi delle loro opere dalla concezione alla pubblicazione, ma è parte integrante – almeno fino a quando durò la loro sintonia – del processo stesso di creazione, e della Vita di Alfieri: nella prima redazione delle fasi della propria «conversione letteraria» l’autore è propenso a verificare oggettivamente quanto narra, nella seconda redazione, invece, con un minuzioso lavoro di regia, riassetta audacemente, senza curarsi delle contraddizioni, l’architettura complessiva.

Da sempre sono stati in primo piano, nella tradizione filologica italiana, Leopardi e Manzoni. La fenomenologia degli autografi dei Canti fu fissata nella splendida edizione di Francesco Moroncini (1927), che, a partire dall’edizione Starita del 1835, segnalava, con l’impiego di fini accorgimenti diacritici (corsivi, neretti, spaziature, riquadri), tutte le varianti recate da manoscritti e da stampe antecedenti.

Il suo esempio non rimase isolato, e seguirono le edizioni di Emilio Peruzzi (’81), di Domenico De Robertis (’84), di Franco Gavazzeni (2006). In campo critico le correzioni di A Silvia suscitarono il famoso dibattito De Robertis-Contini: valore delle singole correzioni o «sistema»? Nel saggio sui Promessi sposi si mette l’accento sulla «Seconda minuta» (1823-1827), che non deve essere solo un deposito di varianti da confinare nell’apparato della Ventisettana, ma merita uno spazio editoriale autonomo, come work in progress, e sul problematico rapporto storia-invenzione, che si concluse con la radicale revisione anche della Colonna infame.

Protagonista assoluto di questa svolta cruciale di portata europea è Gianfranco Contini, con i suoi grandi saggi su Ariosto, Dante, Petrarca, Leopardi, Proust. Come ricorda Paola Italia nel suo intervento, Alle origini della “critica degli scartafacci”, Contini si riallaccia alla filosofia di Mallarmé-Valery – la poesia non è un «dato», ma un «farsi» – e si ispira anche alla grande mostra parigina del 1937 sulle varianti d’autore.

Una serrata e illuminante analisi del manoscritto della Critica degli scartafacci, con cui Contini risponde, nel 1948, alle dure riserve della corte crociana, mette poi bene in luce la complessità della sua posizione: una misurata fedeltà a Croce, e l’orgogliosa rivendicazione di una filologia che non è solo ecdotica, ma critica e interpretazione.

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