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Unasur, conclusi i primi accordi di pace tra governo e opposizione

Unasur, conclusi i primi accordi di pace tra governo e opposizione – Reuters

Venezuela Intesa sull’istituzione di una «Commissione per la verità» che faccia luce sui fatti violenti delle proteste

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 18 aprile 2014

In Venezuela, la Unasur ha concluso i primi accordi di pace tra governo e opposizione. Lo ha comunicato il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño, rappresentante della missione regionale, al termine del secondo incontro fra le parti. «Non credevo che in sole tre ore fosse possibile avanzare in modo tanto significativo nei dialoghi di pace. Gloria al bravo pueblo», ha scritto Patiño in twitter riprendendo la prima frase dell’inno nazionale venezuelano («Gloria al bravo pueblo che el yugo lanzó…»). I rappresentanti di Unasur (per l’occasione Brasile, Colombia e Ecuador) hanno viaggiato una prima volta in Venezuela il 25 e il 27 marzo scorso e si sono incontrati con diversi settori sociali: governo, opposizione, studenti, autorità economiche ed ecclesiastiche (il Vaticano è a sua volta mediatore nel conflitto).

Il primo punto di coincidenza tra le parti si è ottenuto nella «condanna reciproca della violenza e nell’impegno a rispettare la costituzione» come base per i prossimi accordi. Una sconfessione, di fatto, di quelle parti oltranziste dell’opposizione che chiedono “la salida”, la rinuncia a furor di piazza del presidente Nicolas Maduro. Per rimuovere un capo di stato o altri rappresentanti eletti democraticamente, esiste la possibilità di raccogliere le firme e convocare un referendum, a metà mandato. E questo, nel caso di Maduro, eletto un anno fa fino al 2019, è possibile farlo nel 2016. Nel frattempo, nel 2015 si svolgeranno le elezioni parlamentari.

Un altro accordo è stato raggiunto per la messa in campo di una Commissione per la verità che faccia luce sui fatti violenti verificatasi durante le proteste contro il governo, iniziate a San Cristobal (capitale dello stato Tachira) il 4 febbraio e culminate nella manifestazione del 12 a Caracas. Da allora, ci sono stati 41 morti e 674 feriti. Circa 2.000 persone sono state arrestate, e in carcere ne rimangono 175. Il governo ha messo sotto inchiesta 97 esponenti della Forza armata e della polizia, denunciati dai manifestanti per “maltrattamenti e tortura”: ma sono solo “una piccola parte dei quasi 100.000 militari che stanno difendendo il governo da un tentativo di golpe”, ha detto il generale Vladimir Padrino, capo del Comando strategico operativo.

Si è trovato un accordo anche sulle nomine di nuovi rappresentanti dei poteri pubblici, dal Consejo nacional electoral (Cne), al Tribunal supremo de justicia (Tsj), al Contraloria general, le cui massime cariche sono da rinnovare. L’opposizione cerca, anche per questa via, di garantirsi più spazio di potere chiedendo la presenza di figure “neutrali”: cosa assai improbabile in un paese altamente politicizzato come il Venezuela. E vale ricordare che, durante le contestazioni del voto, seguite all’elezione di Maduro il 14 aprile del 2013, l’unico a prendere posizione pubblica, dichiaratamente a favore di Capriles, è stato uno dei rettori del Cne, Vincente Diaz. La presidente, Tibisay Lucena (la cui casa è stata attaccata dagli oltranzisti nelle violenze post-elettorali), si è limitata a comunicare i risultati del lavoro, avallati da tutti gli osservatori internazionali.

La Costituzione venezuelana stabilisce che tre dei cinque componenti il Cne provengano dalla società civile, gli altri sono nominati dal parlamento, in cui il chavismo ha la maggioranza.
L’opposizione ha chiesto un’amnistia generale per tutti gli arrestati, il rientro dei ricercati, che definisce “esuli”, e il “disarmo dei collettivi” che appoggiano il governo. Luiz Alberto Figuereido, ministro degli Esteri brasiliano, della missione Unasur, ha spiegato: “Parlare di amnistia è prematuro, ma c’è la volontà del governo a esaminare le detenzioni caso per caso, ed entrambe le parti concordano che chi abbia causato morti, commesso delitti, resti in carcere”. In questo quadro, si è deciso di affidare a una equipe di medici il compito di stabilire le condizioni di salute di Ivan Simonovis.

L’ex commissario era segretario alla Sicurezza cittadina dell’Alcaldia metropolitana di Caracas nell’aprile del 2002, durante il colpo di stato contro Hugo Chavez. E’ stato condannato per delitti di lesa umanità per le sue responsabilità nel massacro di Puente Llaguno, in cui diversi cittadini di opposte fazioni caddero per gli spari di cecchini appostati negli edifici vicini al palazzo Miraflores, sede del governo. Si ascolteranno però anche le vittime delle azioni violente perpetrate durante il golpe del 2002. I rappresentanti del governo hanno anche chiesto al cartello di opposizione (La Mesa de la unidad democratica – Mud -) di integrarsi alla Conferenza nazionale per la pace in tema di economia, a cui Unasur assisterà con i suoi ambasciatori e non con i ministri degli Esteri.

Una iniziativa lanciata da Maduro unilateralmente, prima che scoppiassero le violenze di piazza. L’esecutivo ha inoltre approvato 148 progetti speciali a 74 organismi politici e amministrativi dell’opposizione, a cui verrà destinato un milione di bolivar.

Accordi che si tratterà di verificare in concreto. La Mud è un carrozzone difficilmente rappresentabile al completo. I settori più oltranzisti non hanno accettato il dialogo e continuano a chiedere «la salida», di Maduro e mantengono in piedi le proteste nei settori benestanti del paese. Tra questi, il partitoVoluntad Popular. Il loro leader, Leopoldo Lopez, è in carcere dal 18 febbraio con l’accusa di associazione a delinquere con finalità di terrorismo. In galera anche alcuni sindaci del suo partito, destituiti dall’incarico (alle elezioni indette per maggio si candidano le loro mogli). Della loro liberazione non si è parlato nei colloqui. Nella Mud è in atto uno scontro per il potere che alcuni, come Lopez e Maria Corina Machado tentano di giocarsi cavalcando tendenze golpiste vecchie e nuove e violenze di piazza.

Gli altri – i partiti tradizionali della IV repubblica – vogliono riprendersi il campo secondo vecchie logiche consociative. Henrique Capriles, candidato perdente contro Chavez e Maduro, tenta di rimanere in sella, smarcandosi dal suo antico sodale Lopez. Assenti anche gli studenti «guarimberos»: non ci sono le condizioni, hanno detto. Intanto, il fil di ferro teso sulle strade di Caracas dalle “guarimbas” (blocchi stradali di detriti e spazzatura data alle fiamme) ha quasi sgozzato un altro pony express (diverse persone sono morte così). E nella parte est della capitale sono stati accoltellati i figli di un personaggio caratteristico del chavismo, una signora anziana onnipresente, soprannominata “cappuccetto rosso”. Assente dai colloqui soprattutto Maria Corina Machado, principale animatrice delle proteste.

La deputata di estrema destra è stata destituita per aver accettato di sostituire il Panama all’Organizzazione degli stati americani (Osa) a cui voleva chiedere l’intervento nel suo paese. Ha continuato però a girare, aizzando le destre: in Perù (su invito dello scrittore Vargas Llosa), al parlamento brasiliano, e anche a quello Europeo. A Strasburgo ha dipinto un paese strozzato da una feroce dittatura. Il livello e la complessità della partita in corso in Venezuela si può intendere dal commento del partito social-cristiano Copei all’annuncio di Maduro su una prossima riforma tributaria: “Chi più ha, più deve pagare”, ha detto il presidente.

Ma il Copei, di certo poco incline a difendere gli interessi delle classi popolari, questa volta ha accusato il governo di voler attingere “al portafogli già vuoto” degli operai.

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