In una lettera all’Irish Times di fine ottobre 1913, l’arcivescovo di Dublino William Walsh scriveva: «Con non poca costernazione ho letto di un movimento per convincere le mogli di chi è disoccupato, nell’attuale e deplorevole impasse lavorativa a Dublino, ad inviare i propri figli in Inghilterra da gente di cui non sanno nulla… Non devo ricordarglielo io qual è il dovere di ogni madre cattolica… Non saranno più degne di tale nome se manderanno via i propri figli perché vengano cresciuti in terra straniera, senza sapere se sia un cattolico o un infedele chi se ne occuperà».

Ci troviamo nel bel mezzo del Dublin Lockout (vedi il manifesto del 21 agosto 2013), la serrata generale in cui più di ventimila lavoratori si opposero alla minaccia di licenziamento, se iscritti o intenzionati a iscriversi al sindacato di Jim Larkin.

Le conseguenze si estesero a circa ottantamila persone, perlopiù familiari degli scioperanti, e tra questi chiaramente molti bambini. Nel tentativo di alleviarne le sofferenze, fu ideato il progetto di inviare in Inghilterra 350 bambini irlandesi, perché fossero ospitati da famiglie di simpatizzanti. Il piano, colloquialmente denominato «Save the kiddies», fu ostacolato a tal punto dalle gerarchie cattoliche da impedire fisicamente alla maggior parte di loro di salpare.

Le ragioni dei datori di lavoro

La posizione del clero era un amo lanciato alla borghesia imprenditoriale, come ammette lo stesso Walsh: «Sebbene io desideri la fine dello sciopero, non ho difficoltà ad ammettere in pubblico e in privato, che i datori di lavoro hanno per certi versi ragione nel rifiutarsi di negoziare una conclusione dell’attuale impasse». Simili posizioni erano condivise dal partito parlamentarista irlandese di John Redmond che si batteva per la Home Rule, ovvero la legge di autogoverno, ma anche dal neonato movimento indipendentista, lo Sinn Féin di Arthur Griffith. Questi, fortemente critico nei confronti dell’idea di un fronte internazionalista dei lavoratori, era un acerrimo nemico personale di Larkin: «Non sono i capitalisti ma le politiche di Larkin a far alzare il prezzo dei prodotti alimentari, tanto da condannare i più poveri di Dublino a uno stato di semi-carestia…».
Per lo Sinn Féin di allora, animato da un sentire molto lontano da quello che guida il partito oggi, accentuare la lotta di classe avrebbe finito per mettere in discussione l’opposizione fondante tra Irlanda-Inghilterra su cui si basavano le proprie tesi.

A minacciare dunque l’unità della working class erano ataviche caratterizzazioni identitarie dovute al fatto che il fronte nazionalista non sembrava più ispirarsi al repubblicanesimo ottocentesco del protestante Wolfe Tone, il quale con i suoi United Irishmen aveva lottato per una repubblica di uomini e donne «senza proprietà». Questa situazione aveva la sua controparte al Nord, dove imperversava l’annosa questione, declinata in senso religioso, della divisione tra due comunità, una legata alla Corona Britannica, e l’altra all’idea di un’Irlanda unita e indipendente.

Nel gennaio del 1913, sull’onda dell’isteria fomentata dalle logge orangiste in concomitanza all’ennesima discussione nel parlamento londinese di quella Home Rule, nasceva la milizia degli Ulster Volunteers. A fondarla era lord Carson, lo stesso avvocato che aveva condotto in tribunale le accuse ad Oscar Wilde nel primo processo. Il gruppo paramilitare poté presto contare su decine di migliaia di militanti pro-britannici, attirati alla causa lealista dagli ambienti del sottoproletariato protestante delle città dell’Ulster. I volontari di Carson minacciavano il ricorso alle armi di fronte a qualunque ipotesi di autogoverno che concedesse una parziale autonomia amministrativa all’Irlanda.

Una repressione spietata

A Dublino e nelle città del Sud, la repressione governativa di ogni forma di organizzazione sindacale si era già dimostrata spietata, con quotidiani attacchi della polizia contro gli scioperanti. Il sindacato, assieme al partito socialista e alle frange più radicali e segrete del repubblicanesimo, lavorava per il superamento delle divisioni nel fronte proletario, religiose o identitarie che fossero. Per arginare le violenze della polizia contro i manifestanti, fu presa la decisione di armare i lavoratori e formare un’altra milizia, descritta variamente dagli studiosi come una delle prime armate rosse della storia: l’Irish Citizen Army. Fu Larkin a proporne la formazione, in un giorno tuttora incerto di inizio novembre, nel 1913.

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La gestione operativa fu affidata al capitano Jack J. White, un protestante del Nord. L’ICA, noto per la ferrea disciplina nonostante la povertà di mezzi, fu molto attivo nei mesi della serrata generale. Tuttavia, la delusione nei confronti degli esiti infelici della lotta sindacale portò nel breve termine a un’inesorabile perdita di consenso. Molti dei militanti passarono ad un altro movimento paramilitare con più risorse, nato in risposta all’evoluzione del conflitto nel Nord, ovvero gli Irish Volunteers. Erano questi un’organizzazione nazionalista e repubblicana che avrebbe fornito l’ossatura portante della futura IRA.

Dopo la fine della serrata, Larkin partì per l’America. Sia il sindacato che l’Irish Citizen Army passarono al suo vice, il marxista e internazionalista James Connolly. Connolly si muoveva su un terreno diverso rispetto al suo predecessore, giocando palesemente su due tavoli. Pur mantenendo come priorità la difesa della classe lavoratrice, era consapevole che la causa del lavoro e quella nazionale fossero un tutt’uno. Questo parziale cambio di rotta nel movimento sindacale comportò la defezione di alcuni, tra cui il drammaturgo Sean O’Casey, sebbene la maggioranza dei militanti approvò la svolta di Connolly e l’avrebbe seguito fino alle estreme conseguenze.

Inizia nel 1914 la collaborazione sia con l’Irish Republican Brotherhood, organizzazione rivoluzionaria segreta che si ispirava a Wolfe Tone e che aveva tra i suoi membri prominenti Èamonn Ceannt, Tom Clarke, e Padraic Pearse, sia con l’ala radicale degli Irish Volunteers dello stesso Pearse. I repubblicani erano pronti ad approfittare di qualsiasi segnale di debolezza del potere coloniale, per far scoppiare una rivoluzione indipendentista su scala nazionale. Su questa linea li seguirono i militanti socialisti dell’Irish Citizen Army, che però avevano come obbiettivo la nascita di una Repubblica dei Lavoratori.

Con l’approssimarsi delle tensioni belliche in vista della Prima Guerra Mondiale, e con l’aleggiare della minaccia, mai realizzata, di una coscrizione di massa degli irlandesi perché si unissero alle fila dell’esercito britannico, l’Irish Republican Brotherhood, assieme all’ala radicale e segreta degli Irish Volunteers, si unì all’Irish Citizen Army per fondare l’IRA, Irish Republican Army. L’insurrezione generale era imminente.

La faccia ufficiale del movimento nazionalista, i parlamentaristi di John Redmond, di tutto ciò erano all’oscuro. Alleati della borghesia irlandese, non avrebbero mai tollerato né una collaborazione con il fronte dei lavoratori, né una rivolta, soprattutto ora che l’impero era impegnato su altri lidi. La Home Rule per cui essi lottavano in parlamento, non prevedeva l’indipendenza dell’Irlanda, ma soltanto forme di autonomia amministrativa sotto l’egida della Corona.

Contrordine compagni

Quando nei primi mesi del 1916 si avvicinò il giorno dell’insurrezione, i vertici ufficiali del movimento nazionalista non ne furono informati all’ultimo momento. Seguì quindi un contrordine rabberciato proprio a ridosso del giorno fatidico. La rivolta scoppiò lo stesso, ma vi furono sostanziali défaillance in tutto il paese.

Divisioni ed errori strategici, taluni dovuti ad imperizia, altri imputabili a una sottostima delle forze in campo, ne avrebbero segnato l’esito. Dal punto di vista militare fu una disfatta, e i rivoltosi non riuscirono neanche ad ottenere la solidarietà della popolazione, che arrivò a coprirli di insulti quando furono costretti, dopo la resa, a marciare per le strade del centro scortati dai militari inglesi. Tuttavia, allorché i capi della rivolta furono giustiziati, e tra loro James Connolly legato a una sedia perché gravemente ferito, l’umore della gente cambiò.

Di fronte alla barbarie britannica e alle esecuzioni dei coraggiosi leader, tra gli irlandesi una pavida apatia lasciò il posto al coraggio.
Il consenso per la causa era destinato a lievitare negli anni a venire.

Da allora in avanti, istanze di sinistra ispirate alla solidarietà del fronte proletario avrebbero coesistito con altre frange del movimento repubblicano. La nota intuizione di Connolly, iscritta sotto la sua statua davanti alla sede attuale del sindacato a Dublino («the cause of labour is the cause of Ireland») fornisce ancora l’unica ideologia solida di una lotta per l’indipendenza dal punto di vista dell’unione dei lavoratori.

Questo percorso intellettuale, ispirato a Wolfe Tone, arriva fino ai giorni nostri, e il fantasma di James Connolly continua ad aleggiare sul repubblicanesimo contemporaneo, sulle ali di una famosa ballata che porta il suo nome: «Oh, dov’è il nostro James Connolly / Oh dov’è l’Irish Citizen Army / Oh, dove sono quegli uomini coraggiosi / Si sono uniti alla grande rivolta / Per rompere le catene della schiavitù».