ExtraTerrestre

Un’altra vita per le piante di natale

Il significato profondo che rivestono alcune piante nel periodo più buio dell’anno è noto in tutto il mondo. L’abete, il vischio, l’agrifoglio, il ginepro, l’elleboro poco alla volta hanno conquistato […]

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 24 dicembre 2020

Il significato profondo che rivestono alcune piante nel periodo più buio dell’anno è noto in tutto il mondo. L’abete, il vischio, l’agrifoglio, il ginepro, l’elleboro poco alla volta hanno conquistato il loro posto nel periodo cruciale del solstizio d’inverno che ha finito col coincidere col Natale cristiano.

«Fare l’albero» è un’usanza che in Italia si è radicata nel secondo dopoguerra, se ha trovato facile rispondenza è perché si ricollegava a culti e miti più antichi che comprendevano un «albero cosmico», un albero della luce e della rinascita. Per ultima è arrivata la «stella di Natale», quella poinsettia pulcherrima di origine tropicale che, come per le altre essenze, è stata adottata poiché fiorisce in questo periodo. Sono piante che, poinsettia a parte, vegetano bene con climi continentali. Le campagne condotte negli anni Sessanta per ripiantare gli abeti natalizi, assecondando un presunto spirito ecologico, hanno portato alla larga diffusione di abeti; spesso sono l’unica essenza presente, dal nord, dove giustamente hanno bene attecchito, al sud dove vegetano miseramente. Meglio rinunciare a mettere a dimora abeti dove le temperature estive toccano i quaranta gradi. Così pure lasciamo stare gli agrifogli, il pungitopo e soprattutto il muschio dove si trovano (molte leggi regionali ne vietano la raccolta).

Addobbare abeti, nelle nostre case surriscaldate, equivale a farli morire; se si acquistano con le radici dobbiamo individuare bene il luogo dove collocarli. La tradizione nordica è quella di tagliarne uno nel bosco e portarselo in casa, non è proprio il caso. Se abbiamo degli angoli del giardino esposti a nord o se viviamo sopra una certa altitudine anche al sud, potremmo pensare di mettere a dimora – se ne trovano di belle – delle piante di elleboro, resistono tutto l’anno e su un terreno moderatamente acido avremo la nostra «rosa di Natale». Altrettanto potremmo fare con l’agrifoglio – gli esemplari più grandi sono costosi, possiamo cominciare con quelli piccoli. Tra le altre cose le sue bacche, velenose per l’uomo, sono invece graditissime agli uccelli. Era una pianta «natalizia» anche il corbezzolo, prediletta per le decorative bacche rosse ed esistono varietà di ginepro – Juniperus oxycedrus – che vivono bene nel bacino mediterraneo. Persino l’ alloro, pianta sempreverde, nei climi più caldi potrebbe essere addobbato per Natale.

Se si prendono in considerazione le piante che nella vulgata più comune sarebbero «d’obbligo», potremmo diversificare e giocare con la fantasia. Ho visto «stelle di Natale», come gli abeti, buttate via nella spazzatura per anni, passate le feste. Immaginare qualcosa di nuovo, mettere a dimora qualcosa che resti e che stia bene, contribuirebbe ad una maggiore sostenibilità e biodiversità dei nostri paesaggi urbani. In fondo, ai bambini del settentrione, per Natale si regalavano arance e mandarini, visti come la più gioiosa e festiva frutta natalizia. E le «stelle di Natale», le poinsettia pulcherrima, anziché buttarle, nel sud potrebbero stare in giardino, ne ho viste a Lampedusa, in grandi fioriere ed anche in piena terra. Il solstizio d’inverno può diventare un periodo per ripensare in maniera più appropriata anche il nostro rapporto con le piante? Speriamo di sì, auguri a voi e alle vostre piante.

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