ExtraTerrestre

Un’altra vita nella natura riserva molte sorprese

Storie Irina, Dasha, Oleksiy, Liana e Lina... sono sfuggiti alle bombe ma stanno trovando un nuovo equilibrio per il futuro

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 3 novembre 2022

La sera lo vedi fare la spola per caricare la stufa con la legna, durante il giorno aggirarsi per le varie abitazioni con il cacciavite in mano o nell’orto con la zappa, oppure spuntare dal tetto dove sta sistemando i pannelli solari: Oleksyi cammina a testa bassa sempre indaffarato, ma appena si ferma o si siede, Vira, una bambina silenziosa di 6 anni, gli si butta fra le braccia e lui ci gioca a lungo. Quelle poche volte in cui si toglie il berretto con la visiera, mostra un volto sorprendentemente solare, quello di un ragazzo di 30 anni che fino a pochi mesi prima, nella sua Mariupol, finito il lavoro alla fabbrica Azostval, andava a ballare salsa e merengue e il fine settimana faceva escursioni in montagna e con il gruppo di speleologia.

OLEKSIY, PERITO ELETTRONICO, alle Azostval si è occupato per 6 anni di sistemi di sorveglianza. Avendo lasciato la fabbrica poco prima dell’inizio della guerra, è scampato all’assedio e al disastro, ma non la sua casa, delle cui macerie ci mostra le immagini dal suo telefono. Dopo una fuga rocambolesca sotto le bombe è rimasto in un ostello a Leopoli per poi approdare a giugno a Tepla Gora, sui monti Carpazi, dove vive da mesi.

TEPLA GORA SI DEFINISCE UN ECO-RETREAT, un luogo semplice a contatto con la natura dove venire a passare dei brevi periodi di ristoro; c’è un ostello, una cucina comune, una sala per meditazione e corsi, un orto, svariati piccoli impianti di produzione di energia; con lo scoppiare della guerra ha iniziato a dare asilo ai rifugiati. Oleksiy ci è arrivato per caso, degli ecovillaggi non ne aveva neanche sentito parlare, men che meno aveva vissuto in comunità, mentre adesso sembra un veterano: ha scoperto valori che condivide e di aver bisogno di stare in mezzo alla natura, sente che in un posto come quello in cui si trova adesso potrebbe ricominciare un’altra vita, farsi una famiglia, comprarsi un cavallo: «La sento come una sorta di terra promessa, qui ho ricominciato a pensare al futuro».

A TEPLA GORA TRA I RIFUGIATI c’è anche Iryna, 28 anni, originaria del Donbass e fuggita da Kharkiv da sola con il figlio, mentre il marito è andato in guerra; anche lei non era mai stata in un eco-villaggio, ha scelto Tepla Gora perché ne aveva sentito parlare da un’amica e voleva mettere a disposizione le sue competenze di psicologa per le attività di supporto che lì si tengono; fra le varie cose ogni mattina gestisce «il cerchio», un momento di confronto fra gli ospiti, e con l’esperienza maturata sta sviluppando un nuovo progetto per la sua vita professionale.

BUSHA E’ UN PICCOLO PAESE A SUD dell’Ucraina, conosciuto come luogo carico di spiritualità; da anni si è insediata una comunità ecologica diffusa, una rete di persone e famiglie che vive secondo principi di sostenibilità e porta avanti progetti comuni; la sua vicinanza con la Moldavia ha fatto sì che abbia ricevuto un flusso intenso di profughi, molti dei quali si sono fermati nelle vecchie case rimaste vuote e sistemate con l’aiuto della comunità. In una di queste è venuta a vivere Helena, di Zaporizhzhia, con i 4 dei suoi 5 figli, e di tornare in città non ha più intenzione; paradossalmente, la guerra l’ha spinta a realizzare il sogno che ha sempre avuto, quello di entrare a fare parte di una comunità ecologica.

LYANA, 43 ANNI, INVECE NON SI SAREBBE mai sognata di vivere in campagna; a Kharkiv faceva la direttrice finanziaria di una grossa compagnia; quando sono arrivate le bombe è salita in macchina con il marito, le figlie e gli animali domestici e sono fuggiti senza sapere dove andare; una volta arrivati nella regione di Vinnicja, hanno sentito parlare di Busha come di un posto sicuro, dove i rifugiati erano ben accetti. Sono arrivati in aprile, hanno comprato un vecchio rudere che il marito, anche lui un imprenditore, sta ristrutturando in una corsa contro il tempo: l’inverno è vicino e lui sbuffa con malta e cazzuola mentre Lyana si aggira fra un esercito di oche starnazzanti. «Ci stiamo ancora adattando. Non ero abituata a dover letteralmente sopravvivere, ma in questo momento mi sento forte, capace di ricominciare. Siamo arrivati qua senza nulla, in questa casa non avevamo neanche l’acqua, ma poco a poco, con l’aiuto della comunità, abbiamo dato forma a questa nuova vita».

PER LYANA E’ ANCHE ARRIVATO il momento di essere lei a rendersi utile. Ha aiutato a fondare e dirigere una Ong che si occupa di recuperare risorse per i rifugiati. Lyana guarda al presente, senza sapere cosa le riserva il futuro, con la certezza di non poter più tornare alla vita di prima. Non solo perché ha perso tutto, ma perché è diventata un’altra persona. La casa dove si trova ora è la sua nuova casa e lei si sente in un processo di rinascitaN

LINA VIENE DAL DONBASS, E’ GIOVANE, sposata da poco e con una bambina piccola; la troviamo mentre cucina una quantità infinita di vareniky, una specie di raviolo, che vende per guadagnare qualche soldo per la sua famiglia. E’ fuggita da Volnovakha, una città che a causa dei bombardamenti ora esiste solo sulla mappa; non ci tornerà mai più, si sente ancora sotto choc, non sa se rivedrà le persone a lei care. Busha è un posto completamente diverso da quello dove viveva prima, ma le piace e ha deciso che la vita sua e della sua famiglia ricomincia da lì.

ANTON E MARIA INVECE NON SONO NUOVI alla realtà degli ecovillaggi: sono giovani e giramondo, si sono conosciuti in Messico. Lei è Russa, lui di Kharkiv, quando è scoppiato il conflitto erano separati, temevano di non riuscire a vedersi mai più. Lei ha attraversato Georgia, Turchia, Bulgaria e Romania per raggiungerlo sui Carpazi dove si era rifugiato. La piccola eco-comunità familiare di Zhyva Khata doveva essere un luogo di passaggio ma sono ancora lì e lavorano la terra, sistemano una vecchia casa, progettano una scuola rurale: hanno trovato quello che cercavano.

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