Una “vittoria” che inchioda Di Maio
Governo Il leader grillino ora dovrà riuscire a passare su Tav o autonomia. Ma gli attivisti sono pronti ad attribuire la sconfitta delle europee alla scelta di oggi
Governo Il leader grillino ora dovrà riuscire a passare su Tav o autonomia. Ma gli attivisti sono pronti ad attribuire la sconfitta delle europee alla scelta di oggi
Oggi la giunta per le immunità del senato chiuderà il caso Salvini negando l’autorizzazione a procedere. «Tutto durerà un paio d’ore», profetizza il presidente Gasparri. Nella riunione con tutti i parlamentari di ieri sera a Montecitorio, Di Maio e i ministri pentastellati si presentano visibilmente sollevati. Con il 59,05% dei sì, cioè dei no al processo, gli iscritti hanno decretato la salvezza del vicepremier e del governo. Il patto tra Salvini e Di Maio ne esce rinsaldato, il rischio di ritrovarsi nell’incresciosa situazione di un intero governo alla sbarra, che si sarebbe corso ove il tribunale dei ministri avesse chiesto l’autorizzazione a procedere anche nei confronti di Conte, Di Maio e Toninelli, è stato fugato.
Ma se M5S esce male dalla vicenda l’esecutivo non sta molto meglio. Il voto ha registrato una spaccatura verticale, mai tanto larga e mai tanto profonda, nel Movimento. Quando a votare sarà l’aula i dissidenti a viso aperto non mancheranno ma la spina acuminata è alla base molto più che al vertice. In questa situazione per Di Maio sarà un obbligo tenere duro, ma i nodi arriveranno a comunque al pettine se l’esito delle europee sarà sconfortante. I militanti attribuiranno al voto di oggi la responsabilità del tracollo.
Ma per la tenuta della maggioranza un verdetto opposto, nonostante le assicurazioni corali in senso opposto sarebbe stato anche più micidiale. «Il governo non rischia» avevano ripetuto tutti ieri, da Di Maio a Salvini, da Giorgetti a Bonafede. In ballo invece, c’era proprio la sorte dell’esecutivo. Non la sua morte nel giro di pochi giorni, ma l’entrata mesta in un coma irreversibile.
La scelta pentastellata di affidarsi al blog è destinata a portarsi dietro strascichi pesanti. L’affidabilità di un partito che a fronte di decisioni stringenti e fondamentali delega la parola decisiva all’incognita della piattaforma Rousseau è a dir poco dubbia. Le agenzie, a metà pomeriggio, registrano uno sfogo privato in questo senso del premier Conte: «Affidarsi al voto online è un errore». Piovono critiche perché nella liturgia a cinque stelle i dirigenti del Movimento e del governo non solo non devono decidere ma neppure devono dire o far capire come la pensano, altrimenti influenzerebbero il voto. Il premier corre ai ripari facendo smentire da una nota ufficiale particolarmente piccata: Conte «non ha mai espresso, neppure in modo informale, alcuna posizione o commento in ordine alla consultazione. Non intende influenzare in alcun modo. È inaccettabile che gli siano stati attribuiti commenti e ragionamenti smentiti ancor prima della pubblicazione». In politica, si sa, le smentite valgono ben poco. Ma il tono inusuale rende ragione del livello di tensione nel quale si è svolta la consultazione di ieri. Giorgetti però non ha problemi del tipo e va giù piatto: «Governare vuol dire assumersi responsabilità». Nelle prossime settimane la domanda che trapela nelle parole del sottosegretario crescerà e terrà banco: ci si può fidare di chi non osa assumersi responsabilità?
Il più esplicito nell’ammettere la posta in gioco nella consultazione di ieri, e non senza una svelata minaccia, è stato il sottosegretario all’economia Garavaglia, leghista: «È un’autorizzazione a procedere verso il governo non verso un ministro». Il messaggio di Giorgetti, che si diceva ottimista perché «i militanti 5S non sfiduceranno il loro governo» era tra le righe identico. Non molto diverso quello dello stesso Di Maio: «Sosterrò comunque il risultato. Ognuno si assume la responsabilità delle proprie scelte e di quello che vota». Salvini no. Il leghista si è riservato un’altra parte in commedia, la più produttiva in termini di consensi: «Il governo non rischia. Sono tranquillo. Ho fatto il mio dovere: ho difeso i cittadini e la patria. Se andrò a processo ne sarò orgoglioso».
Lo scoglio è stato superato, a prezzo di un grosso trauma fra i 5S. Ma nelle due partite ancora in gioco, Tav e autonomie, diventa ora per Di Maio essenziale strappare una vittoria. Se vuole provare a tenere in piedi questo governo ancora a lungo, Salvini qualcosa di sostanziale dovrà concedere.
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