Una vita tra antimateria, collisioni e polemiche
Ritratti Addio al fisico Carlo Bernardini. Aveva 88 anni. Al lavoro strettamente scientifico, Bernardini ha sempre affiancato un impegno civile su diversi fronti, dal disarmo nucleare alla divulgazione e alla difesa della laicità del sapere
Ritratti Addio al fisico Carlo Bernardini. Aveva 88 anni. Al lavoro strettamente scientifico, Bernardini ha sempre affiancato un impegno civile su diversi fronti, dal disarmo nucleare alla divulgazione e alla difesa della laicità del sapere
Tra i pionieri della ricerca italiana nella fisica delle alte energie, Carlo Bernardini, nato a Lecce ma per molti anni docente al dipartimento di fisica della Sapienza di Roma, è morto all’età di 88 anni. Al lavoro strettamente scientifico, Bernardini ha sempre affiancato un impegno civile su diversi fronti, dal disarmo nucleare alla divulgazione e alla difesa della laicità del sapere. Tale impegno lo portò fino in Senato nel 1976, dove fu eletto come indipendente nelle liste del Pci. I funerali si terranno oggi a mezzogiorno a Roma, al Tempietto Egizio del cimitero del Verano.
LAUREATOSI A ROMA nel 1952, e reclutato giovanissimo da Enrico Persico, tra il 1953 e il 1959 Bernardini lavorò alla realizzazione dell’elettrosincrotrone presso i laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare a Frascati. Poi, con Bruno Touschek, Giorgio Ghigo e Gianfranco Corazza fu tra i fisici che realizzarono il primo collisore al mondo tra elettroni e positroni (le particelle di antimateria «speculari» agli elettroni) denominato «Anello di Accumulazione», o AdA. Nei primi anni sessanta, a Orsay, AdA permise di rivelare per la prima volta le collisioni tra elettroni e positroni. Con AdA, e il successivo acceleratore «Adone» sempre a Frascati, nacque l’era degli acceleratori ad anello, di cui l’Lhc del Cern di Ginevra (quello del bosone di Higgs) è l’ultimo esemplare.
DAGLI ANNI ’60, Bernardini fu protagonista di tutte le battaglie civili che animarono la comunità scientifica italiana, con un’autonomia di pensiero che non gli risparmiò scontri anche con colleghi della sua stessa sponda politica. Nel 1982 fu uno dei fondatori dell’Unione scienziati per il disarmo impegnata contro rischio delle armi nucleari, che diede un contributo autorevole dal punto di vista scientifico nel dibattito internazionale che portò ai trattati internazionali di non-proliferazione.
MA ALLO STESSO TEMPO, come ricorda lo storico della fisica italiana Giovanni Battimelli, Bernardini fu un acceso fautore dell’uso dell’energia nucleare a scopi civili. Negli anni ’60 si schierò con Felice Ippolito, il principale responsabile del programma nucleare italiano, accusato di malversazioni in un’inchiesta giudiziaria che a molti sembrò manovrata dalla lobby petrolifera, «una lezione data a scienziati e tecnici che tentano di inserire l’Italia nella strada della grande evoluzione tecnologica» secondo Bernardini.
Nel decennio successivo Bernardini si scontrò con i movimenti contrari alla centrale nucleare di Montalto di Castro, una battaglia che non abbandonò fino ai due referendum del 1987 e del 2011.
Con i movimenti, Bernardini aveva avuto un rapporto difficile già negli anni ’70, quando la critica ai saperi scientifici e alle loro ricadute sociali, animata da Marcello Cini e dal suo gruppo di marxisti eterodossi, arrivò sin dentro i laboratori di Fisica. Per Bernardini, quella protesta sfociava nell’antiscientismo, nonostante provenisse da fisici di ottimo livello. Ma la sua era la posizione dominante nel Pci, secondo cui sviluppo scientifico progresso sociale erano indissolubilmente legati.
Le polemiche continuarono anche quando in ambito scientifico si fecero strada le «scienze della complessità» di Gregory Bateson, Ilya Prigogine, Edgar Morin e dello stesso Cini. Per Bernardini, si trattava di «scarichi letterari pseudoscientifici». Forse pensando proprio a quel periodo, in un’intervista ad Antonio Gnoli nel 2014 disse: «Sono 60 anni che ribadisco che occorrono più fatti e meno interpretazioni. La mia vita si compone di queste certezze».
MOLTI ANNI DOPO, Bernardini e Cini si trovarono invece dalla stessa parte della barricata, a difesa della laicità dell’università. Successe nel 2007, quando (con altri 65 colleghi fisici) protestarono con una lettera su il manifesto contro l’invito a Joseph Ratzinger, allora Benedetto XVI, all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università La Sapienza. Secondo i fisici, si trattava di «un salto indietro nel tempo di trecento anni». Alla fine, vinsero gli scienziati e Ratzinger rinunciò alla lectio magistralis.
Bernardini conosceva però il valore del dialogo tra le culture. Come ricorda Battimelli, difese fino all’ultimo la necessità di insegnare la storia della fisica ai futuri scienziati e diresse la rivista interdisciplinare Sapere dal 1983 al 2014. E seppe collaborare con colleghi autorevoli: con Tullio de Mauro ebbe un sodalizio fecondo, poi condensato nel libro Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture (Laterza), scritto nel 2005. Ma più che alla divulgazione, era interessato alla didattica. Oltre ai manuali universitari, Carlo Bernardini scrisse libri di testo scolastici (anche insieme alla moglie Silvia Tamburini) e animò un laboratorio permanente con gli insegnanti al fine di innovare la pedagogia della fisica.
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