Una vita in compagnia dei Tengu
Into the wild / 5 L’ora del crepuscolo, in Giappone, è quella delle metamorfosi: così una furba volpe può trasformarsi in una fanciulla. Nessun limite netto separa la nostra esperienza da quella della natura: se da una parte viene addomesticata, dall’altra la sua potenza primordiale è scongiurata attraverso leggende e credenze
Into the wild / 5 L’ora del crepuscolo, in Giappone, è quella delle metamorfosi: così una furba volpe può trasformarsi in una fanciulla. Nessun limite netto separa la nostra esperienza da quella della natura: se da una parte viene addomesticata, dall’altra la sua potenza primordiale è scongiurata attraverso leggende e credenze
Non è raro in Giappone che mondo animale e mondo umano, mondo dei morti e degli spiriti e mondo terreno si incrocino e si fondano. Capita che l’uno si trasformi nell’altro e un personaggio umano, un animale o uno spirito assumano le spoglie dell’altro o forme ibride, può succedere che l’una dimensione sfoci nell’altra e uno spirito «invada» lo spazio terreno in un punto geografico dove si creano intersezioni, come nei crocevia dei campi o al limite del bosco, o ancora che si manifesti in un momento dove è il tempo stesso ad aprire varchi tra dimensioni diverse. È così l’ora del crepuscolo, l’ora in cui il tempo sembra fermarsi, le luci si affievoliscono, lo sguardo si appanna e la realtà lascia il posto all’indefinitezza della sua ombra proiettata.
NELLA CULTURA giapponese nessun limite netto separa l’esperienza umana da quella della grande natura e dei suoi fenomeni, perciò, se da una parte essa risulta addomesticata e manipolata fino a diventare simbolo di sé stessa, dall’altra ne è riconosciuta e scongiurata la potenza primordiale, selvatica e temibile attraverso leggende e credenze che trovano fondamento nel pensiero panteistico shintoista. E qui è il termine yaoyorozu a lasciar intendere che esistono almeno «otto milioni di dei» (yaoyorozu no kami), traducibile come un numero infinito e fortunato di divinità presenti in ogni elemento della natura.
Il teatro No porta in scena continuamente questo interscambio, attraverso la struttura del palcoscenico, pressoché spoglio, dove un grande pino sempreverde dipinto sul fondale rappresenta un ponte tra mondo terreno e sacro, attraverso l’uso delle maschere che trasformano l’attore ora in un vecchio o in una giovane donna, ora in una volpe o in uno spirito maligno, mettendo in scena storie che tramandano eventi che confermano la reale possibilità di convivenza tra questo mondo e quello ultraterreno.
CAPITA CHE UN VIANDANTE incroci una bella donna lungo il tragitto e questa si riveli invece essere una furba volpe (kitsune) che della donna ha preso le sembianze per sedurlo e trarlo in inganno o che la volpe si introduca in un villaggio nei panni di un monaco buddhista itinerante (Hakuzosu) sempre con l’intento di ingannare, derubare i malcapitati o di vendicare qualche azione. Capita anche, sul far della sera, di scorgere cortei di lanterne che lasciano pensare a una processione solenne di signori guerrieri (daimyo) in viaggio o al più sontuoso dei matrimoni, mentre si tratta di un corteo di nozze di volpi (kitsune no yomeiri) di solito associato al crepuscolo e ai giorni in cui piove con il sole, di cui il giorno seguente non rimane traccia alcuna.
Sono diverse le stampe del mondo fluttuante (ukiyoe) che ispirandosi al teatro kabuki rappresentano l’apparizione di una kitsune con l’attore nei panni di una giovane donna o in forma di piccoli fuochi fatui, ma vi è un’immagine più suggestiva delle altre realizzata da Hiroshige nel 1857 che rappresenta il raduno delle volpi bianche con le code che sembrano fiammelle, sotto al grande albero di passaggio, nella notte di Capodanno, presso il santuario di Oji, una delle Cento vedute di luoghi celebri di Edo. Similmente, Kuniyoshi, già nel 1840, rappresenta un gruppo di volpi dalle bianche silhouette longilinee impegnato nelle prove di travestimento presso un fuoco: alcune si vestono con kimono o si preparano per abbigliarsi, altre sono già travestite da monaco o da donna.
UN’IMMAGINE DELLA VOLPE evidentemente legata all’esperienza del villaggio che doveva convivere e fare i conti con la furbizia di questo animale selvatico e predatore che quando si intrufolava nelle risaie o nei campi provocava non pochi danni. Motivo per cui la stessa volpe, in questo caso col nome di Inari, è venerata anche come divinità del riso in santuari (jinja) a lei dedicati dove vengono offerte in voto statuine in forma di volpe.
Amatsukitsune, Volpe del Cielo, è anche la lettura alternativa dei caratteri che compongono il nome di Tengu, un altro essere soprannaturale a cui sono associate innumerevoli leggende, rappresentazioni e celebrazioni che ne mostrano qualità differenti. In Cina si indicava le stelle cadenti, in Giappone Tengu sembra invece essere lo spirito associato alla foresta e infatti viene spesso è rappresentato come un essere per metà umano e metà uccello, con un grande becco e corpo e ali coperti di piume che gli permettono di volare e combattere. Almeno tre sono i trittici realizzati con la silografia policroma da Kuniyoshi – maestro dell’ukiyoe apprezzato proprio per le immagini di mostri, spiriti e guerrieri leggendari – che hanno il Tengu come soggetto principale in contesti diversi.
IN UNA REALIZZATA alla fine degli anni quaranta dell’Ottocento il giovane Ushiwakamaru, ovvero l’eroico samurai Minamoto no Yoshitsune (1159 -1189), combatte contro Benkei sul ponte di Gojo a Kyoto con l’aiuto dei Tengu. Qui i Tengu sono rappresentati come figure spettrali avvolte in vesti bianche, con ali e becco d’uccello, o volti umani dal naso lungo e chiome selvagge, ora con la carnagione dal colorito verdastro, ora bluastro o grigio. In un altro trittico policromo del 1858, invece, lo stesso giovane Ushiwakamaru è intento in un allenamento tra i boschi sul monte Kurama. Combatte con dei bastoni contro uno stormo di almeno venti Tengu, rappresentati come uccelli giganti dal piumaggio marrone, il becco acuminato e i grandi occhi gialli da rapace, che gli svolazzano intorno attaccandolo, mentre alcuni sono già stati colpiti e caduti a terra sotto i fendenti del bambino prodigio.
ANCORA TENGU sono chiamati in soccorso, questa volta al fianco dei fedeli dell’imperatore Sutoku della provincia di Sanuki, per salvare Tametomo e la sua barchetta in balia della tempesta nello straordinario trittico di Kuniyoshi (1848 -1852) famoso per il pesce di proporzioni gigantesche che appare tra le onde del mare aperto. Sono almeno otto i Tengu che intervengono volando sulla barchetta, ma ciò che rende unica la stampa è che queste creature uomo-uccello sono dipinte come sagome grigie, piatte, chiaramente appartenenti al mondo ultraterreno; presenze spettrali in contrasto con i colori brillanti del resto della stampa. E il realismo con cui il grande pescecane è descritto seguendo manuali scientifici d’importazione occidentale.
Tuttavia, accanto a questa immagine leggendaria di Tengu che fonde il mondo domestico con quello selvaggio, ve n’è un’altra più diffusa a livello popolare rappresentata dalla maschera che lo rappresenta: un volto rosso dal lungo o lunghissimo naso che ricorda, solo per la forma, Pinocchio della nostra tradizione. Hiroshige nella stampa dedicata alla stazione di Numazu appartenente alle Cinquantatrè stazioni di posta del Tokaido inserisce, nel percorso alberato verso il santuario Konpira la figura di un viandante in pellegrinaggio che porta in spalla appesa al contenitore una grande maschera rossa di Tengu dal naso allungato in forma fallica.
LA FUNZIONE in questo caso è legata ai riti propiziatori per la fertilità, la buona fortuna e il successo negli affari alla base anche dei festival in cui la stessa maschera di Tengu di proporzioni enormi viene portata in processione su altari a spalla lungo le strade. A Tokyo, nel quartiere modaiolo di Shimokitazawa, il Tengu Festival si tiene a gennaio in occasione del Setsubun, la festa in cui si usa anche lanciare fagioli rossi per ingraziarsi la fortuna e scacciare la malasorte, dando il benvenuto alla nuova stagione primaverile.
A Gunma invece il Tengu Festival si tiene ad agosto nella città di Numata, e qui la particolarità è che i due mikoshi, ovvero i due altari portatili su cui poggiano i volti giganti di Tengu dal naso fallico del peso di oltre 400 kg ciascuno, sono trasportati a spalla da sole donne con un significato chiaramente legato alla fertilità.
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