Cultura

Una via d’uscita al dominio delle cose

Una via d’uscita al dominio delle cose

Scaffale «Teoria sociale dell’agire inerte» di Claudio Tognonato, pubblicato da Liguori

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 21 luglio 2018

«Una rosa è una rosa è una rosa» scriveva Gertrude Stein nel 1913. Questo celebre verso contenuto nel poema Sacred Emily richiama l’attenzione sul fatto che una cosa è quella che è e che in nessuna maniera, alla fine, è possibile alterane la natura intrinseca. Allo stesso tempo, come la rosa che assume molteplici significati simbolici, ogni cosa non è mai semplice come appare a prima vista: al contrario, la sua vera natura evoca sempre una complessità che va ricercata e compresa.

A QUESTO PUNTO si apre il problema della scelta: in teoria, si può decidere di accettare quella natura oppure di cercare di cambiarla, rischiando così il fallimento ma anche sperimentando la possibilità della liberazione personale, in caso di successo. Lo sviluppo delle scienze sociali negli ultimi due secoli ruota in buona parte intorno a questa questione apparentemente astratta e pre-scientifica; dalla cui soluzione dipendono però molte questioni pratiche e politiche concretissime: possiamo\dobbiamo accettare la realtà come si dà, anche nelle sue ingiustizie e inefficienze, o abbiamo la possibilità\capacità di migliorarla? E, più nello specifico, quel mondo contemporaneo fatto di cose tecnologiche apre nuove possibilità di scelta o ci getta in una dimensione nella quale la macchina, il capitale che la finanzia e gli sviluppatori che la realizzano governano la società in modo totalizzante?

SONO  le questioni attorno alle quali ruota il libro di Claudio Tognonato Teoria sociale dell’agire inerte (Liguori, pp.280, euro 29). La categoria del pratico inerte si deve a Jean-Paul Sartre, del quale Tognonato è da molti anni uno dei più autorevoli studiosi. Il grande filosofo francese, dopo averla accennata già in Essere e nulla (1943), la sviluppò al livello teorico soprattutto in Critica della ragion dialettica (1960).

ESSA, IN BREVE, designa la forza contenuta nelle cose materiali che utilizziamo nella vita quotidiana come nelle tradizioni culturali che apprendiamo, di plasmare il nostro modo di agire e di pensare mediante l’inerzia che provocano e che è stata decisa da altri: ad esempio, tutti utilizziamo lo smart phone ma le sue modalità di utilizzo sono state decise da altri e plasmano automaticamente il nostro modo di agire con questo strumento. Alla lunga, esso genera un’inerzia che ci rende impossibile anche solo pensare alla nostra vita, alle nostre comunicazioni e alle nostre relazioni senza l’utilizzo e i modi di utilizzo imposti dall’oggetto smart phone (e da chi ne ha finanziato e realizzato lo sviluppo).
Tognonato pone questo meccanismo a base filosofica di quelle cose materiali e immateriali che costituiscono la società – essa stessa un gigantesco meccanismo inerziale – e, capitolo dopo capitolo, ne insegue le manifestazioni in vari ambiti: la vita quotidiana, l’economia, la tecnologia, le istituzioni, la storia stessa.
In linea con il pensiero sartriano e il suo orientamento critico, il libro non si limita però a una semplice analisi e descrizione: al contrario di quanto avrebbe, ad esempio, suggerito una filosofia come quella del secondo Heidegger, per Tognonato non si può e non si deve accettare questo destino e la «falsa» natura, la «falsa» immediatezza delle cose e delle tradizioni. Accanto a questo polo del sociale ve n’è un altro: quello del Soggetto con la sua capacità di scelta e la sua essenza definita dalla libertà. Una presa di posizione teorica già autorevolmente sostenuta da Touraine e dalla sua scuola sociologica che dallo stesso Sartre ha potentemente attinto.

IN UN MONDO che va verso il post-umano e, dunque, un apparente trionfo del pratico inerte, è la riscoperta e la pratica quotidiana e istituzionale della libertà soggettiva l’unica ed obbligata via d’uscita dal dominio delle cose e delle minoranze (spesso occulte) che le hanno pensate e messe in circolazione. La sfida che ci attende, specie in tempi di barbarie crescenti, è innanzitutto ancora quella a suo tempo indicata da Antonio Gramsci: ottimismo della volontà che si contrappone al pessimismo della ragione. Certamente un orientamento non sufficiente di per sé a sovvertire il fallimento del presente ma che certo recupera quelle radici umaniste culturalmente necessarie per impostare reali pratiche di cambiamento, resistenza ed emancipazione sociale che possono davvero realizzarsi solo partendo dalla prima, fondamentale negazione del pratico inerte: la lotta all’indifferente accettazione di quel male del mondo che non è, invece, un destino imposto.

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