Cultura

Una trasformazione che crea l’inesauribile mondo delle cose

Una trasformazione che crea l’inesauribile mondo delle coseLa Piazza, Giorgio De Chirico, 1913

Saggi Nel nuovo volume «Metafisica concreta» (Adelphi) Massimo Cacciari indaga il rapporto tra linguaggio e divenire

Pubblicato 24 giorni faEdizione del 3 settembre 2024

A un certo punto, nel libro di Massimo Cacciari Metafisica concreta (Adelphi, Milano 2023, pp. 423), vi è un riferimento a Hugo von Hofmannsthal, e precisamente a Il libro degli amici, una straordinaria raccolta di aforismi, tra i quali è citato questo: «Non vi è nulla di essenziale all’interno che non appaia insieme all’esterno». Ciò si riferisce al reale e in particolare al rapporto che nel reale si instaura tra passato e presente. Il passato non può che essere come il presente, dentro il suo interrogarsi. Non vi è separazione tra passato e presente così come non ve ne è tra interno e esterno. Si può aggiungere qui un altro aforisma di Hofmannsthal, che Italo Cavino ha messo in evidenza nella sua lezione sull’Esattezza: «Dov’è nascosta la profondità? Alla superficie!». Con Hofmannsthal, come del resto con Wittgenstein, e, sia pure in modo diverso, con Heidegger, si afferma la lezione di Nietzsche secondo cui nozioni come essenza, fondamento, cosa in sé sono invenzioni di una visione del mondo dove vi sarebbe una supposta corrispondenza tra linguaggio e mondo.

IL LIBRO DI CACCIARI è nel solco di questa problematica ma non per affermare, come fa il postmoderno, la piattezza al posto della profondità, bensì per cercare una profondità che non si contrapponga alla superficie, così come il presente non si contrappone al passato. Si tratta di cercare la profondità in ciò che egli chiama «l’Impossibile» e che deve accompagnare «il Possibile» e «il Reale». Ciò comporta una collocazione della Politica all’interno della «metafisica concreta», titolo tratto dalle riflessioni di quel grande e straordinario filosofo, mistico e matematico che fu Pavel Florenskij. Vediamo in che senso. Riprendendo il famoso detto di Protagora che Platone riporta nel Teeteto, secondo cui l’uomo è misura (Cacciari traduce con «metro») di tutte le cose, Cacciari lo interpreta, nel senso eracliteo e nietzscheano, come l’espressione della limitatezza dell’io che sta in continuo rapporto con il divenire delle cose. «Le cose mutano, si trasformano continuamente e vengono percepite in questo perenne mutare, non possono essere conosciute diversamente. L’essenza della cosa è il suo divenire; l’uomo non può misurare gli essenti in altro modo se non relativamente al loro divenire e in relazione a come essi gli appaiono. Non si dà cosa in sé, cui il logos si conformi per predicarla, ma soltanto l’apparire della cosa all’uomo che di volta in volta la misura in base alle forme che essa assume e a seconda dei modi in cui egli la percepisce e ne ha coscienza».

Non è relativismo soggettivistico; al contrario, è consapevolezza di un divenire che rende il mondo delle cose inesauribile e dunque irriducibile a una conoscenza e a un linguaggio che lo insegue senza mai raggiungerlo definitivamente.

Ma il leitmotiv di Metafisica concreta è il rapporto fra filosofia e scienza. Cacciari discute Vico, Kant, Schelling, Hegel, Marx, Husserl e Heidegger, Croce e Gentile. Lontano dal riduzionismo positivistico che voleva adeguare la filosofia all’epistemologia scientifica fondata sull’esattezza, Cacciari si collega allo storicismo ma non secondo quel criterio secondo cui il metodo delle scienze storico-sociali si separa da quello delle scienze naturali, bensì in una visione che collega (si sarebbe detto un tempo, dialetticamente) la filosofia attraverso una riconsiderazione della metafisica come una epistemologia legata all’immaginazione inseparabile dal sapere scientifico. La metafisica non ha il suo esito, ma anche la sua fine, nella tecnica, come vuole Heidegger. Cacciari propone un’idea di metafisica che si trova all’interno dell’epistemologia scientifica, che ne è parte essenziale e che determina l’inesauribilità del rapporto tra conoscenza e mondo basato sul divenire. Il mutare delle cose richiama l’Impossibile che è l’eterno, che è lì appunto come impossibile, ma è. E tra filosofia come conoscenza rigorosa dell’Impossibile e scienza come conoscenza rigorosa del Possibile assume un ruolo la Politica.

SE SI MANTENESSE la dicotomia platonica tra eterno e mutamento come qualcosa da unire nella distinzione, come rapporto tra Impossibile e Possibile, allora forse la stessa Politica potrebbe tornare a essere quel rapporto tra realismo, potere e immaginazione (utopica) che ha contrassegnato la grande Metafisica Occidentale. Il punto di riferimento fondamentale è qui Florenskij (e dunque Platone) e il suo richiamo alla vita e alla socialità, espresso con la dialettica Uno-Molti, il grande tema dei Presocratici e di Platone. Non usciamo da lì. Riscoprire questa sorta di eterno ritorno dell’Impossibile è una condizione di meraviglia del fare filosofia. Merito di Cacciari, fra gli altri, è di avercelo ricordato.

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