Una trasfigurazione perfetta dei materiali
Design Al Salone e al Fuorisalone, la presenza capillare di designer, architetti e artigiani giapponesi e il progetto «A-Poc Able Issey Miyake». Omaggio anche a Shiro Kuramata
Design Al Salone e al Fuorisalone, la presenza capillare di designer, architetti e artigiani giapponesi e il progetto «A-Poc Able Issey Miyake». Omaggio anche a Shiro Kuramata
La presenza capillare di designer, architetti e artigiani giapponesi al Salone e al Fuorisalone 2023 e una mostra attualmente in corso al Kyoto City Kyocera Museum di Kyoto dal titolo Visionaries: Making Another Perpective, curata da Noriko Kawakami, conferma la doppia anima di questa cultura che, da una parte, mantiene forme e tecniche artigianali centenarie tramandate all’interno di famiglie specializzate e piccole botteghe – come i contenitori in legno di Shuji Nakagawa presentati da Hands on Design o l’applicazione – dall’altra, procede speditamente con la sperimentazione scientifica applicata ai materiali sfondando, fino a dissolvere, le classiche divisioni tra design moda e arte.
LA MORTE IMPROVVISA, lo scorso agosto, di Issey Miyake, fondatore dell’omonimo marchio di moda e personalità trasversale e pluridisciplinare che ha saputo inglobare nei suoi progetti tutti gli ambiti della creatività intraprendendo collaborazioni con i massimi esponenti dell’architettura, dell’arte, del design, della grafica, dell’ingegneria, ha lasciato un enorme vuoto e sollevato timore sugli sviluppi dei tanti progetti da lui avviati. Timori «appassiti» davanti ai risultati di decenni di ricerca tecnologica condotta da un team sempre in evoluzione nei laboratori di Tokyo dove, prima di studiare qualsiasi forma di capo d’abbigliamento o prodotto d’arredo, si studiano i metodi per modificare un singolo pezzo di tessuto e renderlo una struttura tridimensionale con caratteristiche peculiari d’avanguardia.
La sfida prende il nome di A piece of cloth, A-Poc, il punto di partenza da cui è scaturita la ricerca di Issey Miyake nel 1998: ovvero come sfruttare al massimo le potenzialità di un singolo pezzo di tessuto, elemento base del vestire umano, istruendo ciascun filo, si potrebbe dire, affinché memorizzi e mantenga determinate caratteristiche che andranno a definire il tessuto finale.
Come spiega Toshiyuki Miyamae, responsabile dell’ultimo progetto A-Poc Able Issey Miyake realizzato in collaborazione con lo studio Nature Architects di Taisuke Ohshima e Kai Suto, da cui il titolo Type-V Nature Architects project: «Secondo il pensiero occidentale, l’abito viene creato tagliando e cucendo i singoli pezzi di stoffa adattati alla misura del corpo di chi li indossa, la forma di ciascuna parte viene creata specificamente per adattarsi alla funzione e al suo posizionamento sul corpo; nel caso di A-Poc Able il concetto si potrebbe dire opposto. Il pezzo di tessuto viene, infatti, filato sulla base di algoritmi funzionali al design (Direct Functional Modeling, Dfm), brevettati, che permettono di prevedere quella che sarà la forma finale assunta dal materiale reso elastico attraverso strutture geometriche irregolari (metamateriale), sottoposto a un processo di vaporizzazione che agisce sulle fibre restringendole o lasciandole intatte sulla base dell’input dettato a monte dall’algoritmo».
UN PROCESSO di lavorazione che, a vedersi, risulta ancora più strabiliante del prodotto finito, come spesso accade nell’arte giapponese, poiché sotto lo sguardo del sarto-ingegnere, che lo sottopone a un vapore omogeneo e controllato, il pezzo di stoffa magicamente si contrae seguendo percorsi invisibili che fanno emergere plissettature lineari più o meno spesse nel caso più semplice, ma oggi anche una struttura a origami quadrangolare che permette la piena curvatura del tessuto senza cuciture.
Lo steam stretch era già stato ideato nel 2012, lo scorso anno il progetto A-Poc aveva visto la collaborazione dell’artista Tatsuo Miyajima e l’inserimento di numeri nella struttura del tessuto sempre ottenuti attraverso algoritmi, ma a distanza di dieci anni come si può vedere allo showroom di Issey Miyake in via Bagutta la ricerca ha condotto all’ottenimento da un unico pezzo di tessuto di una forma sferica dalla superficie strutturata e tridimensionale adatta all’applicazione nelle curvature di gomiti, spalle, fianchi, collo di giacche e abiti che manterranno la forma nel tempo, dopo i lavaggi e senza necessità di stiratura avvolgendo il corpo: filato, tessuto e corpo diventano un tutt’uno.
POTENZIALMENTE il tessuto è autoportante e trasformabile in oggetti d’arredo come lampade, poltrone e altro riducendo i costi di produzione legati alle diverse fasi di lavorazione qui inglobate in un unico processo, permettendo piccole produzioni su materiali diversi a seconda dell’ordine. Viene da pensare cosa sarebbe stata la cupola del Brunelleschi e quale architettura avrebbe potuto pensare ancora se avesse avuto tra le mani questi materiali «oltre la materia».
D’altra parte il design, giapponese è apprezzato proprio per la capacità di sfruttare al massimo le potenzialità e le caratteristiche dei materiali fino a trasformarli e talvolta farli apparire come materiali diversi (la lampada Fuwas di Setsu e Shinobu Ito per Hands on Design in alabastro quando è accesa produce una luce soffice con venature assimilabili alla carta washi giapponese), ma anche per la capacità di assimilare la tecnologia a processi manuali che mantengono la cura del particolare e la ricerca della perfezione.
L’omaggio di Takt Project al grande Shiro Kuramata (1934 -1991), figura che ha segnato la storia del design giapponese e italiano con la sua visione d’avanguardia coltivata insieme alla bellissima amicizia con Ettore Sottsass, è forse il sigillo giapponese di questo Salone e sotto il titolo di Unexplainable lascia percepire insieme il sentimento per l’evanescenza delle forme alla base del pensiero giapponese provocando il pensiero su cosa sia il design oggi, oltre la funzione sociale, rivalutando quell’attimo misterioso in cui un oggetto o un’azione cattura la nostra attenzione fino a fermare il tempo.
SHIRO KURAMATA nel 1985 fece un’azione in omaggio a Joseph Hoffmann che chiamò «Begin the Beguine»: avvolse intorno a una seduta in legno del filo di acciaio, diede fuoco alla sedia così che l’unico segno rimasto fosse lo scheletro di acciaio tubolare quale impronta dell’oggetto. Nell’installazione a Dropcity il gruppo Takt sotto la direzione di Satoshi Yoshizumi e insieme alla piattaforma no-profit The Thinking Piece, ispirandosi proprio a quell’azione di Kuramata, ha inteso reinterpretarla avvolgendo una seduta con un filo in fibra di vetro, materiale preferito di Kuramata, anziché d’acciaio e, usando la stessa azione del dar fuoco, ha ottenuto uno scheletro di sedia tubolare che sembra il fantasma lucente della stessa e che ricorda il bellissimo haiku di Matsuo Basho: «Un guscio di cicala, svuotatosi nel canto».
SCHEDA
Fra i talks che riguardano il design giapponese e che si terranno a Milano nei giorni del Salone e del Design Week, oggi, ore 17.00, «Tyme & Style», Largo Treves, Drill Design e Aoi Huber Kuma, moderatrice: Birgit Lohman; 19 aprile, ore 11.00, Euroluce, Arena Aurore, Pad. 13, «Balancing Architectural Works and Social Contributions», conversazione con Shigeru Ban, moderatrice: Yoko Choy; 20 aprile, ore 11.00, Euroluce, Arena Aurore, Pad. 13, «Interconnection», conversazione con Nao Tamura Modera Felix Burrichter.
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