Una tensione collettiva contro la disgregazione
ITINERARI CRITICI «Non si salva il pianeta se non si salvano le città», un saggio di Giancarlo Consonni per Quodlibet
ITINERARI CRITICI «Non si salva il pianeta se non si salvano le città», un saggio di Giancarlo Consonni per Quodlibet
Al lessico dell’urbanistica si aggiungono sempre nuove parole, occorre prenderne familiarità ed evitare i fraintendimenti: una di queste è urbanità, che ha oltrepassato il proprio campo disciplinare per estendersi in altri saperi. Giancarlo Consonni ha costruito in un periodo lungo di studi, la più coerente ed esatta definizione di urbanità: la qualità necessaria che gli spazi pubblici, collettivi e privati devono avere per raffigurare la «punta avanzata della socialità» e la «quintessenza della convivenza», ancora oggi rinvenibile in monumenti, strade, piazze, edifici e palazzi, parchi e giardini che in secoli di storia hanno composto e ancora compongono il tessuto urbano delle nostre città e di quelle europee.
COLLOCATA nella sua dimensione politica l’urbanità è l’espressione della civilizzazione che si identifica in «paesaggi umanizzati» che abbiamo ereditato dal passato ma che il «fare città» contemporaneo invece disgrega ogni giorno con le sue progressive «incursioni di esibizionismi devastanti». Una situazione prevedibile per l’urbanista-storico-poeta milanese, già nelle teorie della modernità urbanistica (funzionalista), scissa dalla prima metà del secolo scorso, tra riduzionismo scientista delle regole insediative e slanci verso utopie rivoluzionarie.
Consonni con il suo ultimo saggio, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, collana Elements, pp. 128, euro 12) ritorna a illustrare le sue tesi in un momento di accresciuta difficoltà per le sorti dei nostri spazi urbani. Lì dove i due simbiotici decisori, l’urbanista (o l’«esperto») e il politico, si sono trasformati il primo, in tecnico smaliziato che favorisce con molteplici procedure (specie quelle di partenariato pubblico-privato) le forze della rendita immobiliare, mentre il secondo, orfano di un progetto di società, è l’abile garante istituzionale dei capitali investiti dalle stesse.
IN UNA REALTÀ URBANA così governata, dove aumentano le disuguaglianze e le sofferenze dei più deboli sono invisibili, seppure in crescita, avanza il fenomeno della dispersione territoriale (sprawl) e della conseguente metropolizzazione del territorio che procedendo secondo meccanismi autonomi, non sappiamo a quali diversi esiti potrà mai giungere, se non aumentare il disordine e l’indefinibile morfologico che già conosciamo.
Consonni dichiara tutta la sua preoccupazione per questo avanzare della «città di città», che si presenta con nuovi paesaggi densi di contraddizioni e discriminazioni sociali. Il dato certo sul quale egli insiste è che questi non contengono bellezza, piuttosto il «dilagare di una bruttezza che è diretta espressione della crisi cui sono andati incontro i valori civili». È proprio la perdita della bellezza il nucleo del saggio, intesa come «bellezza civile», quella che ci proviene dalla storia e che progressivamente stiamo perdendo avendo alterato i nostri comportamenti nei confronti dell’ambiente, della natura ma soprattutto nei riguardi degli altri che con noi condividono l’habitat urbano.
PER L’AUTORE, la bellezza è il frutto di un metodo dialogico che richiede una «tensione collettiva» tra gli abitanti la città, che non può che essere alimentata da soggetti mossi dalla volontà di un cambiamento radicale. Naturale il riferimento agli intellettuali e alle istituzioni che essi rappresentano. È con le loro posizioni complici nell’avvallare culturalmente le finalità di dominio delle società finanziarie e degli enti pubblici che le sostengono, che operano con «logica estrattiva» nella trasformazione della città, che risiede una delle ragioni d’impedimento per la riuscita di un cambiamento verso quei «valori urbani», in questo momento assai compromessi ma essenziali perché i soli a preservare la qualità estetica dei luoghi. Un lungo elenco di contributi dati da filosofi, letterati, politici e architetti comprova quanto sia stata ampia la riflessione dei «saperi operanti» nella storia rivolta a far coincidere qualità della «vita associata» e «bellezza delle opere» nella città.
IN MANIERA SINTETICA ed esauriente Consonni passa in rassegna i contributi di Leon Battista Alberti e della sua concinnitas (legge della coerenza, della misura e dell’armonia in architettura ma anche nella vita), di Dante con la sua esortazione alla «vita associata foriera di effetti sinergici» (Convivio), di Giovanni Botero, avverso alla ragion di Stato che sopraffà i valori etici, ma in particolare di Carlo Cattaneo che dalla lezione di Giambattista Vico e Gian Domenico Romagnosi, filosofi della convivenza sociale, chiarì la «magnificenza civile» della scena urbana, non soltanto espressione della autorappresentazione delle classi dominanti, ma celebrazione delle virtù civili di intere comunità. L’urbanità è una categoria di cui ha senso parlare solo se ricondotta ai diritti dei cittadini ma necessita di corrispondenze coscienziose che è difficile intravvedere nella società del liberismo capitalista, nelle tesi scombinate dell’«anticittà» o nelle descrizioni della «città diffusa», della «città generica» o di tutte le altre narrazioni di città che dilagano senza mai disporre sul piano tangibile di prospettive socialmente sostenibili.
Nel 2019 Consonni con la «Carta dell’habitat», stesa per conto di Confcooperative, ha voluto illustrare come le politiche urbanistiche, il disegno urbano e l’architettura possano «contribuire alla coesione sociale, dando vita a luoghi atti ad accogliere e a indirizzare la convivenza civile. E farsi sua rappresentazione simbolica». Da allora il confronto sul futuro della città si è diviso tra inflessibilità delle denunce, vittimismo delle imprese e inganni degli investitori finanziari.
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