Visioni

Una telefonata spezza la calma apparente del dopoguerra

Una telefonata spezza la calma apparente del dopoguerra

Incontri Il regista croatoZrinko Ogresta racconta «Dall’altra parte », in sala il 30 marzo

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 24 marzo 2017

Non è ancora finita l’elaborazione del lutto della guerra nei Balcani dopo venticinque anni, se ancora i paesi continuano a produrre film che provocano brividi. Il 30 marzo sarà nelle sale (distribuisce Cinéclub internazionale) Dall’altra parte (On the Other Side) del regista croato Zrinko Ogresta, un film speciale. Il segreto della sua complessità emerge soprattutto dall’apparente semplicità del racconto che parte da uno squillo del cellulare e sconvolge l’esistenza di Vesna (Ksenija Marinkovic) che la camera segue con calma nel suo dramma interiore.
Infermiera del servizio a domicilio a Zagabria non riceve più da almeno vent’anni notizie dal marito, criminale di guerra sfuggito al linciaggio e condannato dal tribunale dell’Aja. La telefonata le riporta dolorosamente una realtà ormai sepolta, anche se deve tenere occultato il più possibile il pericoloso cognome.
Un muro sembra essersi eretto tra lei e il mondo e il film procede a scalfire, a graffiare l’equilibrio che si è costruita nella solitudine. Dal chiuso di un appartamento solo con l’immaginazione percepiamo in modo esplosivo scenari di guerra, dolori sepolti e ancora palpitanti. L’elaborazione dei lutti non è finito, qualunque spettatore ne è coinvolto. Nel racconto, come in un thriller, i colpi di scena feriscono, ma nel profondo.
Zrinko Ogresta firma questa rara coproduzione croato-serba (il coproduttore è il grande attore Lazar Ristovski coprotagonista del film) premiata a Berlino con l’Europa Cinema Label, a Pola, a Zagabria, a Trieste. Gli chiediamo qualche segreto di regia di un film così diverso dagli altri che sviluppano il tema del dopoguerra: «Questo film sembra diverso perché io ho un altro punto di vista rispetto agli altri colleghi. Ho un approccio interiore, tutti i miei film sono frutto della mia esperienza personale e del mio bisogno di parlarne. Questo film non è stato creato solo perché sono un regista e per fare un film, ma perché per me è come una terapia cercare di risanare le ferite di guerra».

 
Ci sono elementi che rendono il racconto agghiacciante, quasi un ricordo dei «film neri» jugoslavi degli anni ’60, senza pietà.
È vero il legame stilistico con il «cinema nero». C’è anche un altro motivo: portare lo spettatore a dimenticare tutto quello che sa e farlo guardare da un’altra prospettiva.

 

 
Le scene sono spesso viste attraverso tende, vetri, griglie…
Ho fatto questa scelta per far comprendere meglio l’ansia, l’angoscia che sente la protagonista. E per un motivo personale, perché come regista ho cominciato a combattere contro il fatto che ci deve per forza essere un’unica posizione «giusta» dove porre la camera, il concetto di «posizione ideale». Ci sono cose che una persona non riesce a vedere, poiché le nostre vite sono piene di ostacoli. Io faccio la scelta di non spostare la camera, in questo senso ho cercato di avvicinare il film alla vita vera. E poiché ho voluto che il film fosse più autentico possibile ho usato il piano sequenza perché il montaggio significa «manipolazione», tende a togliere delle cose.

 

 
La presenza di due attori come Lazar Ristovski e Ksenija Marinkovic amati da tutto il pubblico di Croazia, Serbia e Bosnia aggiunge un ulteriore significato
Per quanto riguarda il contesto politico che lei suggerisce, la cosa peggiore che può capitare a un artista è fare le cose pensando al contesto. Il regista si deve concentrare sul testo piuttosto che sul contesto. Quando il testo è valido, subentra il contesto. Il testo si occupa del rapporto tra due persone, io non mi occupo di politica, ma il contesto politico ne è la conseguenza. In nessuna parte del film è espresso esplicitamente il contesto politico: si parla di cose umane, quotidiane. Per Lazar Ristovski questo è il primo ruolo differente dai suoi soliti, un ruolo tragico. Ksenija Marinkovic è una delle migliori attrici croate e nella sua storia personale ci sono similitudini con quella del film: croata di nazionalità serba, nel ’91 la maggior parte della sua famiglia si è trasferita a Belgrado e lei è rimasta in Croazia, con implicazioni che non sono state facili per lei.

 

 
Sono ancora presenti in Croazia strascichi del conflitto così come vediamo spesso nei film?
Sarò forse presuntuoso, ma credo che questo film abbia fatto molto di più per i rapporti tra Croazia e Serbia delle iniziative politiche. È un film che parla della gente, con persone non caratterizzate dalla loro nazionalità. Avevo un po’ paura per come sarebbe stato visto in Croazia e in Serbia, ma sono rimasto sorpreso per l’ottima accoglienza, mi sembra che il messaggio che ho voluto trasmettere sia stato ben compreso sia dalla critica che dalla politica croata e serba.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento