Una storia repubblicana nelle lettere al «padre della nazione»
Saggi «Caro Presidente. Gli italiani scrivono al Quirinale» di Teresa Bertilotti per Le Monnier. Drammi privati, problemi pubblici e difficili equilibri costituzionali dal 1946 al 1971
Saggi «Caro Presidente. Gli italiani scrivono al Quirinale» di Teresa Bertilotti per Le Monnier. Drammi privati, problemi pubblici e difficili equilibri costituzionali dal 1946 al 1971
Sono molti gli spunti d’interesse presenti nell’ultimo libro di Teresa Bertilotti dal titolo Caro Presidente. Gli italiani scrivono al Quirinale (1946-1971), edito da Le Monnier (pp. 420, euro 18), dedicato a una analisi ricca e originale delle istanze dei cittadini ai diversi presidenti della Repubblica nel lungo periodo.
Si tratta di una narrazione, in punta di penna, capace di restituire i «sentimenti», le storie personali, gli atteggiamenti e le mentalità dei cittadini nel loro relazionarsi con gli eventi economici, politici e sociali del secondo dopoguerra. Grazie alla consultazione di un vasto materiale archivistico – in particolare, quello conservato presso l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica -, l’autrice ricostruisce in filigrana le vicende del Paese durante i ben noti e, oggi spesso rimpianti, trenta gloriosi.
PROTAGONISTE sono le storie degli italiani e delle italiane che si rivolgono alla più alta carica dello Stato per «avere un aiuto economico, ottenere un alloggio decorso, una raccomandazione, per denunciare un’ingiustizia, ma anche per ottenere riconoscimenti ‘morali’» o sentirsi vicini alla patria lontana. Si tratta di istanze molto variegate e in alcuni casi assai stravaganti, dalle quali emergono molte delle aspettative coltivate dai singoli cittadini e soprattutto, in termini complessivi, «la situazione e l’immaginario del Paese».
Senza voler scomodare la scuola delle Annales e la lezione che ne proviene, tuttavia balza agli occhi (ed è a tratti sorprendente) come le suppliche, le istanze, le petizioni rivolte dagli italiani e dalle italiane al Capo dello Stato nel tempo quasi ricordino quanto raccontato magistralmente da Marc Bloch nel suo I re taumaturghi e da Jacques Le Goff elaborato nella forma della lunga durata (braudeliana) delle mentalità collettive (peraltro, vi è riprodotta in appendice una significativa lettera dello stesso Fernand Braudel del dicembre 1951 a Einaudi volta a lamentare le difficoltà incontrate negli archivi italiani). In questo caso poi, ciò è anche il portato di una storia, quella dello Stato nazionale, dalle origini segnata da distanza, sfiducia, mancato “rapporto organico” tra politica e società, tra governati e governanti.
Lo Stato italiano per sua origine storica è stato, infatti, connotato da una natura intrinsecamente corporativa e particolaristica, che lo ha reso incapace di rendersi autonomo da interessi privati, non consentendo ai poteri pubblici di farsi garanti ed espressione delle istanze collettive. Ricorrere alla supplica, alla preghiera, alla richiesta personale non attesta in fondo anche tale caratteristica di questo «disgraziato nostro paese», come lo appellò Gramsci esattamente un secolo fa (1917)?
Suggestivi sono poi gli aspetti che fanno trasparire il sentire, i linguaggi, così come le strategie discorsive a cui si fa ricorso nelle lettere al fine di perorare ciascuno la propria causa.
IL PRESIDENTE è spesso ritratto come un padre della nazione e dei suoi componenti, è un deus ex machina capace di tutto, è un uomo politico al quale far intendere comune appartenenza partitica. La sua valenza simbolica inoltre è tale da estendersi sino ai suoi familiari: in particolare le «donne del Presidente» assumono un ruolo chiave. Assai vivaci sono le pagine che Bertilotti dedica alle first ladies, per lo più mogli o figlie del Capo dello Stato, le quali non solo sono molto attive nella beneficienza, ma soprattutto sbrigano in prima persona le pratiche concernenti le istanze, divenendo – proprio tramite questo compito – interlocutrici non trascurabili degli italiani e delle italiane.
Un ulteriore aspetto concerne il piano storiografico: ciò che infatti si evince da questo volume è l’importanza di una rinnovata metodologia (a partire da agli anni Settanta e anche grazie a sollecitazioni internazionali), volta ad ampliare lo stesso orizzonte della storia istituzionale, a intercettare nuovi profili dell’analisi del potere (dei rapporti di potere) e a mettere in discussione gli steccati presenti tra le discipline.
Sono questo tipo di riflessioni a consentire di riflettere sui nessi che intercorrono tra la partecipazione dei singoli alle esperienze della comunità politica di cui sono in parte espressione e alla quale partecipano e le loro condizioni effettive; così come sui nessi esistenti tra la costruzione di queste stesse comunità politiche e le dinamiche di soggettivazione/assoggettamento.
NESSI, SIMBOLICI E MATERIALI, che legano le istituzioni alle aspettative, ai timori, alle speranze individuali e collettive. Se poi si volesse indagare su come di volta in volta venne interpretato il ruolo presidenziale, molti aspetti cruciali emergerebbero circa l’uso che i diversi capi dello Stato fecero del loro rapporto diretto con l’opinione pubblica e delle forme di ricerca del consenso. Nello specifico, una delle questioni centrali riguarda – soprattutto sotto il profilo costituzionale – i confini di tale ricerca del consenso, necessari al fine cioè di evitare che da organo di garanzia la presidenza della Repubblica divenga organo di governo.
Ciò rappresenta senza dubbio un ulteriore tassello di una vicenda più complessiva concernente la relazione che è esistita e continua a esistere in Italia tra istituzioni e cittadini/e, laddove sono comunque sempre più proficue le ricerche capaci di attenersi a un radicamento sociale e materiale della narrazione giuridico-istituzionale.
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