Cultura

Una storia “decentrata”, oltre il lungo Sessantotto

Una storia “decentrata”, oltre il lungo Sessantotto

Scaffale Eros Francescangeli, «Un mondo meglio di così». La sinistra rivoluzionaria in Italia (1943-1978), per Viella, Una sorta di “orda d’oro” senza empatia e con più fonti d’archivio

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 settembre 2023

Lo studio della sinistra italiana del Novecento, a dispetto delle sue attuali disavventure politiche, continua ad alimentare il mercato editoriale. Soprattutto vi è una persistenza degli anni settanta, un interesse che – rispetto a qualche anno fa – è meno concentrato sulla testimonianza del “reduce” e più orientato a una ricerca storica più distaccata o, in ogni caso, metodologicamente fondata. È in questo solco che si inserisce il lavoro di Eros Francescangeli, Un mondo meglio di così (Viella 2023, 362 pp., 32 euro), una vasta ricostruzione della «sinistra rivoluzionaria» dal dopoguerra alla fine degli anni settanta. Una sorta di “orda d’oro” senza empatia e con più fonti d’archivio. Ne esce fuori una storia “decentrata” e con molti aspetti singolari, se non innovativi. L’autore, d’altronde, da molti anni – se non da sempre – si occupa di alcuni filoni meno battuti del movimento operaio italiano: Arditi del popolo, eresie trockiste o bordighiste, “proletari in divisa” e antimilitarismo.

In questo libro tenta di congiungere la storia eccentrica con quella principale, almeno a sinistra del Pci. Nel farlo, dunque, non può che ridurre la centralità del Sessantotto preferendo la lunga durata: dal 1943 al 1978. Il termine a quo è chiaro, anche se non vi è presente, in realtà, una storia della «sinistra rivoluzionaria» nella Resistenza (escludendo, l’autore, il Pci dal novero di questa “rivoluzione”); il riferimento ad quem è invece arbitrario, scegliendo di terminare la sua narrazione con l’uccisione di Aldo Moro. Anche in questo caso tra titolo e narrazione degli eventi vi è un singolare scarto: in effetti le vicende si interrompono con la crisi di Lotta continua del 1976, sostanzialmente tacendo del movimento del 77. Una scelta azzardata, data la rilevanza di quell’anno e di quel movimento per le sorti dell’estrema sinistra.

Vi è anche un’altra scelta autoriale particolare e disorientante: escludere da questa storia ogni formazione “politico-militare”. E quindi Feltrinelli e i Gap, il Collettivo politico metropolitano, Sinistra proletaria, le Brigate rosse, Prima linea, ma anche – incedibile dictu – Rosso, i Collettivi politici veneti, l’Autonomia operaia, ovvero il cuore dell’estremismo degli anni settanta. Conseguentemente, le vicende di Potere operaio vi sono solo accennate, per concludersi di fatto al convegno di Rosolina del maggio-giugno 1973. Si potrebbe dire che sono storie molto studiate, su cui un grande lavoro è stato compiuto in questi anni dalla casa editrice Derive Approdi; rimane comunque una scelta forse drastica, che rischia di sfocare il quadro d’insieme e la comprensione degli eventi.

Grande importanza, viceversa, viene assegnata al campionario di scissioni e ricomposizioni del settarismo trockista, bordighista, stalinista e infine maoista; alla parabola del «neo-operaismo» di Panzieri e Tronti che, sulla scia dei francesi di Socialisme ou barbarie di Castoriadis e Lefort, organizzeranno la fatidica “uscita a sinistra” dallo stalinismo dopo gli smottamenti del 1956; alle alterne vicende del manifesto, di Lotta continua e di Servire il popolo (con l’inevitabile corollario di linee rosse e linee nere); infine, ai percorsi di Avanguardia operaia e del Pdup nel loro tentativo di costruire, col manifesto, una formazione unitaria a sinistra del partito comunista. La scelta di ridurre la centralità del Sessantotto è funzionale, come detto, ad allargare lo spettro cronologico e le continuità a dispetto delle fratture prodottesi nel biennio 68-69. Anche in questo caso siamo in presenza di una scelta inusuale e rischiosa: da un lato si vuole giustamente dare risalto a una continuità storica, quella della presenza di una sinistra “a sinistra” del Pci; dall’altro il pericolo è sfumare troppo il portato delle rotture storiche prodotte alla fine degli anni sessanta. 

In conclusione, Francescangeli costruisce una storia originale dell’estrema sinistra italiana, da lui giustamente definita «rivoluzionaria» invece che «nuova» – termine invero meno preciso e politicamente connotato. Lo fa col supporto di una vasta e diversificata comparazione di fonti archivistiche, carte di polizia, pubblicistica politica, testimonianze di protagonisti. Cede un po’ all’interpretazione complessiva, da cui si tiene a debita distanza, anche in ciò segnando una certa discontinuità con i tentativi precedenti, sempre molto “ingaggiati”. Rimane un po’ sullo sfondo, invece, la società italiana e i suoi mutamenti, che provocarono quel “lungo Sessantotto” che appare, ancora oggi, la perdurante eccezionalità italiana dell’ultimo cinquantennio. 

  

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