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Una Speranza per la non autosufficienza?

Sanità Tra le criticità del Servizio sanitario nazionale spicca l’abbandono a sé stessa della categoria dei malati non autosufficienti, un’emergenza che interessa, direttamente o indirettamente, milioni di persone. Una sfida cruciale per il nuovo ministro

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 7 settembre 2019

L’operazione che ha portato alla nascita del nuovo governo Conte è tanto ambiziosa quanto rischiosa. Ambiziosa, perché è animata dall’obiettivo di sottrarre basi di consenso sociale alle forze sovraniste. Rischiosa, perché se il tentativo dovesse fallire, Salvini è destinato a riprendersi con gli interessi quel che, al momento, ha dovuto lasciare. Determinante sarà dunque la capacità dei nuovi ministri di realizzare politiche sociali capaci di migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta o relativa.

Abitazione, istruzione, lavoro, previdenza, assistenza saranno le cartine di tornasole del successo dell’alleanza pentapiddina. Ma, soprattutto, decisiva sarà la sanità. Stante la debolezza parlamentare e politica di LeU non pare ingeneroso affermare che Roberto Speranza abbia pescato il jolly dal mazzo. Grava su di lui, adesso, la responsabilità di farne buon uso.

Il funzionamento del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è compromesso da severe criticità. A un livello di finanziamento inadeguato (siamo all’8,9% del Pil, un punto sotto la media europea) si sommano l’inaccettabile divario tra i sistemi regionali, l’insoddisfacente ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza (nuovi Lea), la tendenziale privatizzazione del servizio in rilevanti settori (odontoiatria e oculistica su tutti) con la connessa crescente privatizzazione della spesa (oramai un quarto del totale), l’abuso dei farmaci di marca a discapito di quelli generici, la carenza di personale medico e infermieristico, l’insufficienza dei posti letto, i crescenti tempi d’attesa, la vetustà del patrimonio immobiliare.

Tra queste criticità, spicca una vera emergenza: l’abbandono a sé stessa della categoria dei malati non autosufficienti. È un’urgenza di rilievo nazionale, che interessa, direttamente o indirettamente, milioni di persone: centinaia di migliaia di malati e i loro familiari, su cui il sistema pubblico scarica, di fatto, gran parte degli interventi di cura (in particolare sulle donne). Ed è un problema destinato ad aggravarsi in futuro, per via dell’invecchiamento della popolazione, nonostante l’allungamento dell’aspettativa di vita in salute. Quel che più di tutto colpisce è l’inconsapevolezza con cui le forze politiche – anche quelle che più dovrebbero essere sensibili alle questioni sociali – si pongono innanzi al problema: emblematico il caso del Pd, la cui Costituente delle idee propone l’introduzione di un’indennità di cura per le persone non autosufficienti, evidentemente ignorando che la normativa vigente già prevede l’obbligo, in capo al Ssn, di farsi carico delle esigenze di tali persone (la legge n. 833 del 1978 prevede che il Ssn si faccia carico, tra l’altro, della «diagnosi e cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata»).

La chiarezza della normativa statale non ha impedito che le regioni, a cui è in concreto affidata l’attuazione del diritto alla salute, ostacolassero l’effettiva cura dei malati non autosufficienti, vincolandola alla previa valutazione di condizioni che nulla hanno a che vedere con la salute del malato (la situazione economica, la proprietà di un immobile, l’esistenza di congiunti, l’inserimento sociale), alla predeterminazione di una durata massima di erogazione delle prestazioni sanitarie (a prescindere dall’effettiva guarigione del malato), alla compartecipazione alla spesa per prestazioni che, pur essendo sanitarie, vengono qualificate come aventi di natura assistenziale e/o sociale. La conseguenza è la violazione su larga scala del diritto alla salute dei non autosufficienti, con immensi disagi economici e sociali per le famiglie colpite.

L’applicazione rigorosa della normativa statale vigente consentirebbe di realizzare due obiettivi primari: assicurare a tutti i malati la continuità diagnostica e terapeutica e garantire l’accesso alle cure senza discriminazioni per condizioni individuali o sociali. Attribuire priorità alle prestazioni domiciliari sanitarie e socio-sanitarie (compreso un contributo economico della sanità per assicurare le prestazioni di cui necessitano i malati non autosufficienti senza interruzioni) e garantire l’inserimento tempestivo nelle residenze sanitarie con almeno il 50% del costo della retta a carico del Ssn, realizzando una rete di residenze sanitarie nei territori che ne sono privi, dovrebbero essere gli interventi immediatamente successivi. Saprà il nuovo ministro essere all’altezza di questa sfida cruciale?

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