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Una sparizione filosofica

Una sparizione filosofica

Casi irrisolti Nel suo libro «Che cos'è il reale», dedicato alla scomparsa del fisico siciliano, Giorgio Agamben introduce uno scenario nuovo: il ricercatore avrebbe usato il proprio corpo come fosse una particella della meccanica quantistica, per dimostrare l'incertezza della scienza

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 26 marzo 2017

Il 25 marzo del 1938, prima di imbarcarsi da Napoli, il fisico Ettore Majorana scrive al collega Carrelli di una «decisione inevitabile» relativa alla sua «improvvisa scomparsa». In un’altra lettera alla famiglia, chiede di limitare il lutto a «non più di tre giorni». Sembrano le parole di un suicida (che però aveva passaporto e soldi).

Il giorno dopo, esattamente 79 anni fa, Ettore Majorana dà nuove notizie di sé, le ultime. Da Palermo riscrive a Carrelli: «il mare mi ha rifiutato» e annuncia il rientro a Napoli. Quando Majorana aveva comunicato l’intenzione di sparire, era riemerso. Ora dice di tornare e invece sparisce. Da quel giorno, molti si sono interrogati sulle sue lettere: i dubbi di un suicida indeciso o una fuga architettata a puntino?

L’INCHIESTA di Leonardo Sciascia su Majorana pubblicata nel 1975 rilancia l’interesse sul caso. Si individuano le piste possibili: la fuga coi nazisti, la crisi mistica, la depressione, la diserzione dalla scienza messa al servizio delle armi. Le ricostruzioni degne di nota si contano sulla punta di una mano perché la scarsità degli indizi allontana gli storici di professione. Oltre a Sciascia, di Majorana si sono occupati soprattutto i fisici. Neanche Giorgio Agamben è storico – ha insegnato filosofia nelle università di mezzo mondo.

LA TEORIA PIÙ RECENTE sulla scomparsa di Majorana è contenuta proprio nel suo ultimo libro, Cos’è il reale? La scomparsa di Majorana (Neri Pozza, pp.78, euro 12,50). Agamben, per la verità, non propone una ricostruzione storica originale. Piuttosto, si concentra sulle motivazioni che indussero il fisico a scomparire. Secondo Agamben, la sparizione fu una sorta di protesta filosofica contro la meccanica quantistica, il campo in cui lo stesso Majorana eccelleva.

Il fisico avrebbe intuito le conseguenze dell’indeterminismo insito nella teoria quantistica. Diversamente dalle leggi di Newton insegnate a scuola, la teoria elaborata da Bohr, Planck, Einstein e i loro colleghi nei primi del Novecento sostiene l’impossibilità di prevedere dove si trovi una particella in un certo istante. Al massimo, si può prevedere la probabilità che la particella si trovi in quel punto. Misurandone la posizione, per altro, si perde la possibilità di conoscere con precisione altre grandezze che caratterizzano il moto della particella – è l’indeterminazione di Heisenberg.

L’INCERTEZZA ASSOCIATA a ogni dato empirico non era, di per sé, un concetto nuovo: qualsiasi strumento di misura, per quanto raffinato, ha una precisione limitata. Ma ciò non contraddiceva la visione deterministica della realtà: l’incertezza nella conoscenza dei fenomeni fisici, che si manifesta con una limitata variabilità statistica, era destinata ad assottigliarsi sempre di più con il miglioramento delle tecnologie.

La meccanica quantistica dava invece un nuovo ruolo all’incertezza: le particelle non erano più rappresentate come punti localizzati, ma come «onde di probabilità». Il lavoro degli scienziati non consisteva nel restringere l’incertezza statistica delle misure negli esperimenti, ma nel prevedere come questa incertezza muti nel tempo. La probabilità, che nella fisica classica misurava la precisione degli strumenti, diventava essa stessa l’oggetto di indagine al livello più profondo.

I fisici erano giunti a questa conclusione sulla base di osservazioni sperimentali inspiegabili nei termini tradizionali, in cui una singola particella poteva trovarsi simultaneamente in più stati. Nella divulgazione dell’epoca, ebbe fortuna l’esempio del «gatto di Schroedinger»: un esperimento mentale in cui, seguendo i principi quantistici, un gatto risulta vivo e morto allo stesso tempo. Il paradosso puntava a dimostrare che le bizzarrie della meccanica quantistica non appartengono solo al mondo microscopico delle particelle, sostanzialmente inaccessibile fuori dai laboratori: sono osservabili anche nei sistemi più complessi con cui abbiamo a che fare quotidianamente.

SECONDO AGAMBEN, Majorana architetta la sua scomparsa per dimostrare che quell’esperimento mentale può davvero realizzarsi: quasi fosse una particella quantistica, tra il 25 il 26 marzo 1938 Majorana riappare e scompare in luoghi diversi simultaneamente. È vivo e morto insieme come il gatto di Schroedinger. Ogni tentativo di ridurre l’incertezza sul caso è destinato a fallire. Questo è il mondo inconoscibile che ci offre la nuova fisica, sostiene Majorana nell’interpretazione di Agamben. Ed è un mondo da rifiutare in blocco, ancor prima di interrogarsi sulle sue ricadute militari.
L’ipotesi  si basa su un saggio dello stesso Majorana, un articolo divulgativo postumo intitolato Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, che già aveva interessato Sciascia. In quello scritto, Majorana illustrava il carattere della nuova fisica a un pubblico non esperto: «il risultato di qualunque misura sembra perciò riguardare piuttosto lo stato in cui il sistema viene portato nel corso dell’esperimento stesso, che non quello inconoscibile in cui si trovava prima di essere perturbato».
Agamben vi legge la descrizione di una mutazione genetica avvenuta nella scienza: «la scienza – scrive il filosofo – non cercava più di conoscere la realtà, ma, al pari della statistica nelle scienze sociali, soltanto di intervenire su di essa per governarla».

Già Simone Weil, assai citata da Agamben, aveva rivolto una critica simile alla teoria quantistica. La transizione dalla fisica classica a quella quantistica, secondo Weil, non era giustificata da evidenze empiriche: «Appare chiaramente che ciò che ha introdotto la discontinuità, non è affatto l’esperienza (…) ma unicamente l’uso della nozione di probabilità», scrive la filosofa. «Rinunciando alla necessità e al determinismo in nome della probabilità, la meccanica quantistica aveva, secondo Weil, puramente e semplicemente rinunciato alla scienza», rincara Agamben. D’altronde, «anche Einstein, che aveva dato un contributo decisivo alla teoria dei quanta, mantenne fino all’ultimo delle riserve sulla sua interpretazione esclusivamente in termini probabilistici».

La tesi di Agamben su Majorana, dunque, è suggestiva. Purtroppo, mancano le evidenze storiche a suo supporto. Non è vero, ad esempio, che l’adozione della meccanica quantistica sia stata slegata dall’esperienza. I primi sviluppi della teoria furono motivati dalle anomalie rilevate sperimentalmente nello spettro luminoso emesso dagli oggetti caldi e nell’effetto fotoelettrico, e non furono affatto conseguenze immediate dell’approccio probabilistico alla fisica. «Questa straordinaria teoria è dunque così solidamente fondata nell’esperienza come forse nessun’altra fu mai», scrive lo stesso Majorana in un passo non citato da Agamben. La confutazione più forte alla completezza della teoria quantistica, inoltre, fu pubblicata da Einstein nel 1935.

e Agamben avesse ragione, Majorana avrebbe dovuto interessarsene avidamente. Invece, negli appunti del corso sui fondamenti della teoria quantistica tenuto all’università di Napoli nel 1938 non vi è traccia delle critiche di Einstein.

IL RACCONTO FILOSOFICO della scomparsa di Majorana, dunque, non svela particolari misteri. Che cos’è il reale? va interpretato come una dissertazione sull’impatto filosofico della meccanica quantistica, a cui la vicenda dello scrittore scomparso fornisce solo un po’ di pepe narrativo. Sulla «scomparsa», a 79 anni di distanza, continuiamo a ignorare quasi tutto. Sul piano giudiziario, la vicenda parrebbe conclusa dall’identificazione sudamericana di Majorana nel «signor Bini» fotografato in Venezuela negli anni ’50, ma le «evidenze» a sostegno sono risibili. Un’altra foto celebre lo mostrerebbe sul piroscafo in fuga verso l’Argentina insieme ai gerarchi nazisti. Anche in questo caso l’identificazione basata sul confronto fotografico lascia a desiderare. I risultati più affidabili sono probabilmente quelli ottenuti dai fisici Francesco Guerra e Nadia Robotti che, sulla base di fonti primarie (rapporti di polizia, corrispondenze familiari) hanno stabilito che Majorana sia rimasto in vita dopo la sua scomparsa e che sia morto poco dopo, nel 1939. È l’anno in cui la stessa famiglia istituisce una borsa di studio a suo nome e in cui la polizia interrompe improvvisamente le ricerche, fino a quel momento molto attive. Il caso Majorana, forse, era già stato risolto.

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