Francesco Cataluccio è da sempre uno dei più illustri e acuti interpreti di quel mondo che visto dall’Italia prende il nome di Est Europa. Profondo conoscitore di quella cultura e di quei luoghi, nel tempo, l’autore ha dato forma a una vera e propria letteratura di viaggio che vede ora trovare una sorta di punto di arrivo nell’elegante volumetto dal titolo Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania, pubblicato da Humboldt Books (pp. 142, euro 16) e che comprende anche alcuni scatti dell’autore che arricchiscono e completano una narrazione mai scontata e anzi sorprendente.
La postura di Cataluccio è quella di un (apparentemente) ingenuo Marcovaldo che più che incontrare o ricercare, inciampa e capita casualmente sulle tracce di un luogo e della sua cultura. La quarta del volume annuncia con estrema esattezza e nel freddo minimalismo che contraddistingue Humboldt i nomi e i luoghi che segnano la narrazione di Non c’è nessuna Itaca.

L’IMPRESSIONE è quella di un viaggio costruito per tappe precise e ben definite, un reportage professionale che nulla intende lasciare al caso, ma la realtà non è proprio così. Cataluccio, infatti, ha chiaramente un metodo e il suo vagare è tutto meno che impreciso o confuso, ma avendo ben appreso la lezione della flânerie sa che per «trovare» è necessario prima di ogni altra cosa «perdersi», e che per incontrare ed entrare in relazione con il prossimo è fondamentale preparare un terreno comune fatto di piccoli e continui slittamenti laterali.

NULLA È PIÙ COMPLESSO di andare alla scoperta di un luogo – come è anche il caso della Lituania – così sostanzialmente poco frequentato, quanto però abitato da un’idea o meglio da un pregiudizio (principalmente occidentale) che pretende già di sapere tutto e in maniera dettagliata e organizzata delle origini e delle sue prospettive.
Cataluccio scarta così pagina dopo pagina, strada dopo strada (inciampi e gaffes comprese) l’idea presuntamente originale della Lituania, per svelare cosa è invece oggi quel paese. Il viaggio è sorprendente, la qualità di un territorio e le sue specificità spiegano, anche a chi dopo due anni di Covid ha smesso di muoversi ed esplorare, cosa significa e quanto sia importante attraversare la luce e gli odori, gli sguardi e i corpi di un luogo e dei suoi abitanti, per restituire a se stessi e nel caso di Non c’è nessuna Itaca ai suoi lettori, un’idea culturale e non più pregiudiziale e sterile del mondo e dei suoi innumerevoli pezzi. Va da sé che, insieme ai pregiudizi, crolli poi anche il desiderio di un’idea ormai perduta e introvabile di Lituania, la stessa che precede i disastri del nazismo e della dominazione sovietica.

QUELLA CHE APPARE sotto gli occhi dell’autore è così la Lituania che rinasce a parte dal 1990, anno della sua indipendenza. Una nuova visione delle arti e della cultura attraversa il paese e prende piede con risultati stupefacenti, che la rendono a oggi non solo un luogo assolutamente ricco e vivace, ma forse la migliore sintesi del concetto di Europa a cui noi ancora con troppe contraddizioni e distrazioni dovremmo ambire sempre più.