Europa

La sinistra che ha paura del popolo

Italia Critichiamo i tecnocrati, ma in quell’inganno ci siamo caduti anche noi. Abbiamo perso la capacità di sognare, di avere davanti agli occhi un immaginario che indichi la direzione

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 11 aprile 2014

«Populista!». Quest’accusa ricorre spesso sulla bocca di tanta sinistra. Certamente la crisi della rappresentanza e dei corpi intermedi è un profondo vulnus della nostra democrazia. È però utile interrogarsi sul motivo per cui la sinistra non riesce più a essere non tanto populista, quanto popolare. A dare rappresentatività alle istanze e al sentimento profondo di tanta parte della popolazione. Forse il modo in cui lo fanno gli altri potrà essere sbagliato, ma va riconosciuto che riescono là dove noi non riusciamo più. Marchiamo la distanza che ci separa dai populisti, e li disprezziamo anche un po’. Affermiamo di rappresentare l’alternativa al neoliberismo e all’austerità, diamo giudizi, forniamo soluzioni credibili. Giusto. E ben venga. Ma allora? Perché non raccogliamo quel consenso che questa credibilità dovrebbe suscitare?
Critichiamo i tecnocrati, ma un poco in quell’inganno ci siamo caduti anche noi. Come se l’alternativa si costruisse unicamente fornendo soluzioni tecniche alternative. Quando non siamo rimasti ancorati a vecchie ideologie, ci siamo mossi nello stesso paradigma economicista di coloro che critichiamo. Abbiamo perso la capacità di sognare, di avere davanti agli occhi un immaginario che indichi la direzione e di credere in modo sostanziale e non formale che possa diventare realtà, nonostante tutto, rendendosi i primi testimoni di esso. Si tratta di suscitare un sentimento diffuso, un’idealità, una connessione intima tra le persone e le cose, un’appartenenza comune in cui le persone possano riconoscersi. Credere che il paradigma dominante che ci ha reso oggetti e merce possa essere superato significa modificare radicalmente la forma mentis e le pratiche della sinistra per impersonare concretamente questo cambiamento. Riaffermando il primato dell’umano” dei sentimenti e della vita relazionale su quello del potere e dell’avere.
Il lavoro da fare è impegnativo e faticoso perché implica innanzitutto una messa in discussione del proprio agire. La centralità della persona umana non può infatti essere ristabilita a parole, ma richiede la forza della testimonianza viva, dentro e fuori la vita e la pratica politica di chi alla sinistra dice di appartenere. Non abbiamo bisogno di predicatori della sinistra. Ma di testimoni appassionati e coerenti, con un immaginario che li porti a guardare sempre avanti e una connessione intima con gli altri esseri umani. Gli interlocutori percepiscono se parli di sinistra, o se invece quello che ti muove è l’amore per le persone che sono alla base di quelle idee di uguaglianza e dignità che la sinistra ha da sempre fatto sue. Se al centro c’è la persona, con le sue sofferenze e le sue bellezze, e non invece l’ego narcisista di chi pretende di lottare in suo nome. E noi, spesso, ci siamo innamorati delle parole e delle idee, invece che delle persone.
I problemi che ci pone questo presente sono enormi. Essi pretendono autenticità e onestà intellettuale. Non ci viene chiesto solo di trovare alternative, ma di renderci testimoni viventi di un sentimento e di una pratica, di indicare un immaginario di cui ci rendiamo i primi realizzatori. Se ognuno di noi, a sinistra, riscoprirà questa vocazione personale senza aspettare che siano altri a indicare la via, e se praticheremo questa vocazione insieme, una grande sinistra popolare forse potrà essere ricostruita. Quella in cui al centro dell’attenzione non ci saranno i populisti, ma il nostro popolo. Non è mai troppo tardi per ripartire.

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