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Una singolare visione

Una singolare visione

Intervista Salvatore Piscicelli, anche se lo ritiene eccessivo, è considerato non a torto capostipite, ispiratore del nuovo cinema napoletano

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 2 gennaio 2016

È sempre un piacere incontrare Salvatore Piscicelli, un cineasta coerente, appartato, non-riconciliato ma anche uomo di grande cultura, intellettuale raffinato che non ha abbandonato i suoi amori cinefili e le sue letture sofisticate. Autore solo di otto film di fiction che però hanno lasciato il segno, ma anche di documentari, lavori televisivi e da alcuni anni è anche scrittore. Quando non prepara un film o dirige continua a vedere tanto cinema europeo e americano come faceva da giovane quando faceva il critico ed era uno degli agguerriti cinefili che gestivano la Mostra del Cinema di Pesaro, quando non scrive legge tanta letteratura contemporanea. Autore dallo sguardo antico e dall’inalterata voglia di sperimentare, Piscicelli conserva ancora una giovanile onnivora curiosità e mostra un’elastica apertura al (post)moderno, consapevole che non si possono ignorare l’attuale rivoluzione digitale e le possibilità espressive che offrono le nuove tecnologie, senza disdegnare i social media, gli smartphone, gli e-Book. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua presenza a Napoli per accompagnare con Carla Apuzzo, sua compagna e da sempre sua cosceneggiatrice, i suoi quattro film (Immacolata e Concetta, Le occasioni di Rosa, Regina, Il corpo dell’anima) programmati nell’ambito dell’omaggio della XV edizione di «’O Curt», il Festival del cortometraggio diretto da Francesco Napolitano della Mediateca Santa Sofia che l’organizza con l’Associazione Culturale Tycho con il sostegno dell’Assessorato ai Giovani del Comune di Napoli.

Tu sei considerato il «papà» di varie generazioni di cineasti della cosiddetta «Nouvelle Vague napoletana» e continui ad essere un punto di riferimento per chi filma la città. Sei stato anche il primo a interrompere nei primi anni ’80 il «napolicentrismo» per raccontare storie ambientate in provincia o nella periferia degradata di Napoli. Che sono diventate negli anni location e set frequentati al punto che a Scampia è nato anche un festival «Periferie del Mondo – Periferia Immaginaria».

Non può che lusingarmi l’attenzione che c’è ancora oggi per me e per il mio cinema. Andando avanti negli anni ho verificato che gli omaggi, le citazioni vanno al di là del semplice riconoscimento del valore artistico delle mie opere. Vuol dire che c’è qualcosa di più profondo che ha inciso nel tessuto culturale napoletano non solo cinematografico. Da qui ad essere considerato il padre spirituale delle generazioni successive di cineasti – quasi un Bazin napoletano – mi sembra eccessivo, come parlare di eredità. Piuttosto ho seguito con interesse le varie generazioni di nuovi autori napoletani (di fiction e documentari) e ho capito che al di là delle etichette ad effetto e di autori interessanti da Martone a Capuano, da De Lillo a Corsicato, da Incerti a Patierno, da Gaudino a Di Majo, da Marra a Sorrentino, non si può parlare di veri e propri movimenti nati e cresciuti su basi teoriche ed artistiche comuni, di «poetiche» come quelle delle Nouvelles Vagues europee degli anni ’60 maturate intorno a prestigiose riviste specializzate e a dibattiti politico-teorici.

C’era in te quando ti sei accostato al cinema da giovane un’ inquietudine intellettuale/esistenziale che ti ha portato a sperimentare.

Tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80, dopo un lungo periodo di anonimato e scarsa creatività del cinema fatto a Napoli, io ed altri abbiamo portato una ventata di originalità e personalità. In quella fase giovanile ero particolarmente interessato a far incontrare il cinema «alto» e il cinema «basso», a contaminare il cinema popolare con un linguaggio sofisticato, a far coesistere il coinvolgimento empatico e la distanza dello spettatore. In tal senso fui folgorato proprio dal Salò di Pasolini per la sua forza metastorica e metalinguistica e la capacità di veicolare un forte contenuto politico con una forma estrema. E con i miei primi due film Immacolata e Concetta e Le occasioni di Rosa ho semplicemente voluto ambientare le due storie in realtà – quella dell’entroterra e quella della periferia napoletana – che conoscevo bene, evitando al tempo stesso le trappole oleografiche della città, e raccontarle con un linguaggio sperimentale che non poteva non tener conto delle mie passioni cinefile come il cinema giapponese, Fassbinder e Pasolini appunto.

Tu sempre in quegli anni, quando vivevi ancora Napoli, quindi in tempi non sospetti hai proposto un centro di produzione e postproduzione audiovisivo, una scuola di formazione con un progetto che potesse affrancare Napoli da una «dipendenza» dal centro romano. Poi non se n’è fatto mai niente. Tu che vivi lontano da Napoli cosa ne pensi?

Credo che il problema sia più generale. A Napoli e in Campania manca da anni una credibile progettualità politico-culturale complessiva e quindi anche sul terreno del cinema e dell’audiovisivo in genere si sono perse parecchie occasioni e sprecate molte energie. Sono nate realtà produttive indipendenti interessanti come Figli del Bronx e altre, ma sembra sempre tutto molto slegato, c’è una difficoltà/incapacità di radicare certe realtà sul territorio con l’adeguato supporto produttivo/logistico/organizzativo.

Tu sei molto attento alle nuove tecnologie digitali e ai sempre più sofisticati dispositivi utilizzati per realizzare un film. Con annessi equivoci.

Il paradosso è che più la tecnologia è a portata di mano, meno ci si preoccupa di costruire una storia, di saper raccontare, di lavorare su una forma. Fin quando siamo appunto in una dimensione amatoriale va bene, il problema nasce se si ha la presunzione di entrare in quella professionale. Quello che mi sento di dire oggi ai tanti giovani che si accostano al cinema o all’audiovisivo in genere è di coltivare un’idea di cinema, di essere rigorosi nelle scelte e disponibili a sperimentare nei contenuti.

Hai girato solo otto film di fiction in 24 anni (oltre a quelli in programma Baby Gang, Regina, Quartetto, Alla fine della notte). Ma questi sono spesso i tempi di chi pensa il cinema, fa sedimentare.

La mia filmografia è improntata alla coerenza. Faccio il cinema che voglio fare, rifiutando facili accordi. Mi metto a scrivere quando sono ispirato, ho una storia da raccontare e comincio a girare quando ho metabolizzato ciò che ho scritto. Il nostro (io e Carla) metodo di lavoro in fase di sceneggiatura poi è spesso lungo e intenso, dura settimane, c’è un confronto continuo favorito anche dal fatto che viviamo insieme e quindi ci scambiamo naturalmente idee e punti di vista prima durante e dopo l’elaborazione dello script. Non lavoriamo come la maggior parte degli sceneggiatori italiani che quando lavorano in due, in tre o in quattro si vedono e scrivono da tale ora a tale ora. A questo va anche aggiunto che io lavoro meno di altri autori italiani perché faccio vita appartata, non frequento i salotti politici o culturali romani o le feste dove si possono incontrare produttori e ministeriali e dove spesso nascono progetti.

Il tuo ultimo film risale al 2003. Si sa che stai lavorando a uno nuovo tratto dal tuo romanzo «Vita segreta di Maria Capasso», pubblicato dopo «La neve a Napoli» e la raccolta di racconti «Baby Gang».

Si abbiamo scritto io e Carla la sceneggiatura sulla base del mio romanzo. Abbiamo modificato un po’ la struttura: nel libro c’è una confessione in prima persona della protagonista, nel film invece lei parla e racconta la sua vicenda alla camera, guardando in macchina. Abbiamo prosciugato la storia passando da un percorso più psicologico a uno sguardo più diretto sulla realtà della vicenda. La protagonista è interpretata da Luisa Ranieri, che incarna ad hoc età, fisicità, essenza napoletana del personaggio letterario. Al suo fianco, Luca Zingaretti che è anche coproduttore. Li ho scelti per la loro bravura ma anche per un’affinità reale tra i due attori che sono marito e moglie nella vita. Un po’ come successe con Marina Suma e Angelo Cannavacciuolo per Le occasioni di Rosa nel 1981. Il titolo provvisorio del film è Maria Capasso, le riprese dovrebbero partire nei primi mesi di quest’anno, sarà girato interamente a Napoli per gli esterni, si tratta di un film a budget medio-basso. Stiamo lavorando anche ad altri progetti: in circa sei mesi io e Carla abbiamo scritto la sceneggiatura tratta dal testo Bassa Campania che mettemmo in scena per il teatro negli anni ’80, spostando nel contesto di oggi la vicenda ambientata in origine negli anni ’70, il titolo provvisorio è Sorelle. Poi c’è un altro soggetto che s’intitola La ragazza dai capelli di lino che è lo stesso di un preludio di Debussy, è una vicenda ambientata nel mondo della musica classica e jazz. Sto cercando anche di pubblicare il romanzo Il corpo dell’anima inedito che è all’origine del film. Quando lo scrissi mentre mi accingevo a pubblicarlo, fu Carla a dire che quella storia era più adatta a un film, così scrivemmo soggetto e sceneggiatura e facemmo il film. Quindi lasciai perdere il romanzo.

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