«Una sentenza memorabile» nella politica monetaria
Scaffale Un libro di Luigi Cavallaro interviene sul pronunciamento della Corte suprema tedesca che nel 2020 bocciò l'annuncio dell’allora banchiere centrale europeo Mario Draghi di voler procedere senza limiti all’acquisto dei titoli del debito pubblico dei Paesi dell’eurozona
Scaffale Un libro di Luigi Cavallaro interviene sul pronunciamento della Corte suprema tedesca che nel 2020 bocciò l'annuncio dell’allora banchiere centrale europeo Mario Draghi di voler procedere senza limiti all’acquisto dei titoli del debito pubblico dei Paesi dell’eurozona
L’apprezzamento pressoché unanime di Mario Draghi in quanto «salvatore dell’euro» fa leva non solo sul riconoscimento dell’autorevolezza dell’economista e dell’uomo politico, ma anche sull’importanza decisiva del whatever it takes del 2012, ossia l’annuncio, da parte dell’allora banchiere centrale europeo, di voler procedere senza limiti all’acquisto dei titoli del debito pubblico dei Paesi dell’eurozona. Oggi solo pochi ricordano che quella strategia è stata apertamente bocciata dal Tribunale costituzionale federale tedesco, che il 5 maggio 2020 ha dichiarato illegittimo il suddetto programma di acquisti.
SULLA VICENDA che ha portato al pronunciamento della Corte tedesca è ora disponibile una sapiente ricostruzione di Luigi Cavallaro, egli stesso magistrato oltre che fine conoscitore della teoria economica (Una sentenza memorabile, Cacucci, pp. 100, euro 12).
Si tratta di un godibile libretto consapevolmente ispirato, stilisticamente e non solo, alla prosa di Sciascia e di Borges. Come in un giallo, l’autore ci rivela, al di là dei tecnicismi giuridici, le vere questioni sottese alla sentenza, ossia il ruolo della politica monetaria e di quella economica nell’eurozona, cariche di contraddizioni tutt’altro che risolte e pronte a riemergere con forza quando l’ondata della pandemia sarà (auspicabilmente) alle spalle.
La «sentenza memorabile» della Corte tedesca nasce in un confronto con la Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata dalla prima a esprimersi rispetto al reale significato e alla validità dell’operato della Bce. Nonostante le argomentazioni a difesa di quest’ultima formulate dalla Corte europea, il verdetto dei giudici tedeschi è netto: l’azione della Banca centrale è stata illegittima, sproporzionata e non motivata, avendo di fatto esorbitato rispetto ai confini della politica monetaria definiti dai trattati europei, con conseguenti effetti distorsivi sulle economie e i bilanci degli Stati aderenti all’euro.
Nella vicenda ricostruita da Cavallaro, la Corte europea difende una linea di politica economica che può essere associata alla «sintesi neoclassica»: una visione «ibrida» del keynesismo, secondo cui la politica monetaria può avere effetti solo nel breve periodo, in attesa del raggiungimento di un mitico «equilibrio naturale di lungo periodo». La Corte tedesca, invece, volendo ergersi a garante degli interessi delle classi risparmiatrici, difende l’autonomia costituzionale dei singoli Stati dell’Unione europea, contro le pretese della Bce di farsi arbitra assoluta del proprio operato.
LE INTERPRETAZIONI confliggenti delle due corti, tuttavia, se da un lato si distinguono per il modo di interpretare il ruolo della politica monetaria, dall’altro sono accomunate dalla medesima base teorica, liberista e neoclassica; la Corte tedesca rivelando peraltro una maggiore coerenza con tali premesse teoriche, come dimostra la sua consapevolezza della natura partigiana di qualunque azione di una banca centrale, in grado di regolare arbitrariamente il saggio di profitto mediante la manovra del saggio d’interesse.
In fin dei conti, sembra dirci Cavallaro, la dialettica fra Corte europea e Corte tedesca può essere letta come un’alternativa fra «due destre»: una eclettica dal punto di vista teorico, più «temperata» rispetto ai dettami del liberismo ma incapace di prefigurare una reale alternativa alle relazioni di mercato, l’altra più rigorosa e coerente nel seguire la visione mainstream dell’economia, che al fondo si riduce alla fede nell’equilibrio di mercato come forma eterna e naturale dell’agire economico.
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