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Una rock star del calcio, Robin Friday

Una rock star del calcio, Robin FridayRobin Friday segna con la maglia del Cardiff

Sport  38 anni fa moriva il più grande giocatore che non avete mai visto

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 15 giugno 2019

È stato “il più grande giocatore che non avete mai visto”. Si chiamava Robin Friday, proveniva da una famiglia working class della suburbia londinese e con il pallone tra i piedi era un fenomeno. Nel grande libro del calcio che conta, però, non c’è nessun capitolo su di lui, perché il nostro decise di sprecare le grandi doti che madre natura gli aveva generosamente regalato. Per anni è rimasto una figura di culto tra i pochi che lo avevano visto umiliare portieri e difensori nelle divisioni minori del football inglese. Si era in pieni anni Settanta, l’attuale bulimia televisiva non c’era ancora.

Nonostante il limitato repertorio iconografico su Friday, verso la metà degli anni Novanta la sua storia è stata riscoperta. Sono apparsi articoli e libri, uno scritto dall’esperto di musica Paolo Hewitt e dal bassista degli Oasis Paul McGuigan. Nel 1996 la band gallese dei Super Furry Animals gli ha dedicato un singolo con lui ritratto in copertina mentre faceva un gestaccio a un portiere avversario. Il titolo “The Man Don’t Give a Fuck” appariva una sorta di manifesto programmatico postumo ed era un giusto tributo a uno cresciuto con le sonorità ska di Desmond Dekker e poi divenuto un fanatico dell’Heavy Metal, che influenzava anche la sua estetica in campo: lunghi capelli arruffati, maglietta fuori dai pantaloncini e calzettoni arrotolati.

Una vita subito burrascosa, quella di Robin. A 16 anni era già stato in riformatorio, si era sposato e aveva avuto una figlia da una ragazza nera, qualcosa di impensabile in quel periodo. Una fase storica in cui in Inghilterra risuonavano ancora le parole del politico Enoch Powell, autore del discorso razzista poi chiamato dei “fiumi di sangue”.

Intanto Friday calcava i campi fangosi dei dilettanti segnando goal a grappoli. Anche a causa dell’asma che lo tormentava da sempre, non era velocissimo, ma per il resto aveva tutto: visione di gioco, dribbling, tiro e colpo di testa. Un giorno il piccolo Reading lo convinse a fare il salto tra i professionisti, nella quarta divisione inglese. L’irlandese Charlie Hurlie lo prese subito del verso giusto, nonostante l’esuberanza del personaggio Friday, un donnaiolo che amava bere birra e fumare spinelli e che passava le vacanze in una comune hippie in Cornovaglia. Una specie di George Best in sedicesimo, in tutto e per tutto, classe compresa. Il pubblico lo adorava.

Nei tre anni al Reading tanti allenatori dei team della massima divisione andarono ad ammirare le sue prodezze tecniche, ma poi si tennero alla larga, perché gli eccessi offuscavano il suo talento. Le bravate erano sia fuori che dentro il rettangolo di gioco, dove rimediava cartellini a go-go (ma i difensori lo picchiavano senza pietà) si “inventava” cose mai viste nel football inglese, come quando baciò un poliziotto (“ma l’ho fatto per ridere, io odio i bobby!”). Altra abitudine malsana era quella di strizzare i genitali agli avversari. Riservò un trattamento del genere pure al grande Bobby Moore al suo esordio con la maglia del Cardiff. Hurlie aveva ormai compreso che Robin aveva ormai intrapreso una brutta china e preferì cederlo quasi a prezzi da saldo. Ci aveva visto lungo. In Seconda Divisione le ombre furono tante, le luci poche. A Cardiff Robin durò poco più di un anno. All’inizio di quella che sarà la sua ultima stagione tra i professionisti prima scomparve, poi una notte in albergo i suoi compagni di squadra lo trovarono a lanciare palle da biliardo per la stanza, come una rock star impazzita. Nell’unico match disputato, a Brighton, prese a calci in faccia un avversario. Poi si volatilizzò di nuovo. La dirigenza del Cardiff non ne volle più sapere. Quella che poteva essere una carriera scintillante terminò a soli 25 anni.

Tornò a lavoricchiare con il fratello Tony, saltando da una relazione amorosa all’altra e affogando in un mare di alcool e droghe, il tutto punteggiato qua e là da risse e soggiorni in ospedale. Poi due giorni prima del natale del 1990 il cuore non ne volle sapere più di tutti gli stravizi cui era sottoposto. E così il più grande calciatore che non avete mai conosciuto disse addio al mondo, a soli 38 anni.

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