Pennebaker, la rivoluzione musicale nelle immagini della realtà
Lutti È morto a 94 anni il regista di «Dont Look Back» e «The War Room», pioniere del Direct Cinema
Lutti È morto a 94 anni il regista di «Dont Look Back» e «The War Room», pioniere del Direct Cinema
Probabilmente oggi si fatica più del dovuto nel tentare di contestualizzare – e quindi comprendere pienamente – la portata dell’innovazione rappresentata dal cinema di Donald Edward Pennebaker, scomparso il primo agosto scorso, all’età di 94 anni. Il suo nome è stato abbreviato per tutta la vita dalle iniziali D.A., gli amici lo chiamavano Donn, e la sua influenza nel cinema statunitense è stata incomparabile. Bisogna provare a fare uno sforzo notevole per immaginare cos’era l’immagine della realtà nel cinema americano dell’epoca. Non solo cosa rappresentasse, politicamente e non, l’immagine hollywoodiana, ma, soprattutto, cosa restasse drammaticamente fuori dal perimetro del suo quadro. L’avvento della pratica cinematografica documentaria trasforma in profondità il rapporto con le immagini in movimento di tutta una generazione non solo con le stesse immagini, ma con ciò che poteva essere fatto attraverso di esse per ri-raccontare, rimettere in scena tutto quello che si riteneva fosse già ampiamente codificato.
NATURALMENTE il nome di Pennebaker, nei resoconti più succinti, è legato soprattutto al suo rapporto con musicisti chiave dell’epoca come Bob Dylan, David Bowie e, più tardi, i Depeche Mode. Dylan e il suo manager Albert Grossman, però, avevano fortemente apprezzato Primary, film del 1960 che racconta la campagna delle primarie presidenziali del Partito Democratico nel Wisconsin fra John F. Kennedy e Hubert Humphrey.
Prodotto da Robert Drew, filmato da Richard Leacock e Albert Maysles, montato da Pennebaker, il film fu immediatamente, e a ragione, considerato un caposaldo del Direct Cinema. Il modo in cui l’immagine era sincronizzata con il suono creava inoltre una radicale trasformazione del paradigma attraverso cui si poteva approcciare all’idea di raccontare il reale. Sette anni dopo Pennebaker realizzò per Dylan Dont Look Back (rigorosamente senza apostrofo). Un altro spartiacque epocale.
Tant’è vero che Subterranean Homesick Blues (il proverbiale Dylan con i cartelli…) è considerata, per quel che vale, come l’annuncio dei futuri videoclip. In realtà la collaborazione fra i due non è stata esattamente lineare e priva di ombre, nonostante Pennebaker sia stato poi invitato a documentare il tour britannico del 1966 del bardo di Duluth. Il materiale di questo tour leggendario fornirà decenni dopo l’ossatura per No Direction Home di Martin Scorsese mentre lo stesso Dylan rimontò molto del materiale per il suo Eat the Document. Nel corso del tour, Richard Alderson registrò moltissimo con il suo Nagra, registratore di progettazione polacca, ma prodotto in Svizzera nei pressi di Losanna. Questi nastri, utilizzati dallo stesso Dylan per la sua bootleg series, costituiscono il cuore di Bob Dylan: The 1966 Live Recordings. E fu proprio Alderson, per moltissimi anni rimasto nell’ombra, a rivelare chegran parte del materiale live britannico fu documentato dall’operatore Howard Alk.
DOPO DYLAN, Pennebaker immortalò Monterey Pop, filmando performance leggendarie di Jimi Hendrix, Otis Redding, The Who, The Jefferson Airplane e Janis Joplin. Un altro documento epocale, rieditato di recente in un magnifico box che presenta tutti i materiali restaurati.
Anche Godard, in rotta di collisione con il cinema e la politica della Francia, notò la portata delle innovazioni di Pennebaker e degli altri fautori del cinema diretto che gravitavano intorno a lui come Leacock e Drew. Iniziò così una collaborazione che, pur nata sotto i migliori auspici del «filmare tutto ciò che si muoveva intorno a noi», non produrrà mai i risultati desiderati. One AM (ossia One American Movie) avrebbe dovuto testimoniare le agitazioni sindacali degli operai americani, ma Godard abbandonò il progetto. Su questa mancata collaborazione fra Pennebaker e Godard si è scritto e speculato molto. Il film sarà terminato dal solo Pennebaker che lo intitolò One PM e anche in questo caso le interpretazioni divergono. One Perfect Movie secondo Pennebaker o One Pennebaker Movie stando a Godard?
Dopo avere filmato Alice Cooper, in epoca pre-Kiss il sovrano incontrastato del cosiddetto shock-rock, Pennebaker documentò l’addio alle scene di David Bowie all’apogeo del successo di Ziggy Stardust. Ancora una volta lo sguardo della sua macchina da presa riuscì a cogliere un momento di ritorno della cultura giovanile e di come questa si è poi riflessa nel resto delle articolazioni del sociale.
INFATICABILE sino alla fine, anche se era difficile trovare tracce del pioniere e dello sperimentatore in cose come King of Pastry o Unlocking the Cage, che pure hanno girato moltissimo nei festival specializzati, ha conservato una curiosità schietta e genuina nei confronti del cinema e dei cineasti.
Deborah Farina, documentarista e regista, laureatasi su Pennebaker racconta: «Mi presentai all’ufficio di Penny prima di pranzo. Ad accogliermi il suo bellissimo alano grigio e lui appena dietro, enorme e sorridente. Albert teneva il mio enorme tomo della mia tesi di laurea sulla sua scrivania alla Maysles Film, l’ultimissimo piano di uno stabile di 16, raggiungibile solo attraverso le scale, sulla 54ma Crossing Broadway, a due passi da Times Square. Albert faceva vedere a tutti quell’enorme tomo dal titolo Direct Cinema e Concert Film. Intorno le pellicole originali di Dont Look Back, Monterey Pop, Ziggy Stardust; le sue macchine da presa 16 mm, la moviola nel retro, sempre la stessa dagli anni 60. Ogni nostro incontro sul cinema e sul rock’n’roll avveniva tra il suo ufficio e il ristorante vietnamita lì vicino. Era ghiotto di cibo asiatico piccante. Quando gli chiesi quale fosse il suo film preferito mi rispose Depeche Mode 101. Il motivo era sia legato alla sua vita privata (la collaborazione con la compagna Chris Hegedus), sia per l’essersi appassionato a quella musica che definiva ‘alternativa’. Mi confessò che si era divertito a riprendere le stranezze dei componenti della band, su cui aveva potuto porre una lente di ingrandimento, il famoso terzo occhio della macchina da presa’ in un modo maggiormente consapevole rispetto ai lavori più giovanili».
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