Cultura

Una rete di sognatori per elaborare la pandemia

Una rete di sognatori per elaborare la pandemiaAnselm Kiefer, part Scala di Giacobbe (mostra a Palazzo Ducale, Venezia, 2022)

Scaffale «Il pianeta disorientato», della psicoanalista junghiana Rosa Porasso, per Moretti&Vitali

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 agosto 2023

Secondo C.G. Jung spetta all’inconscio ricostruire un nuovo equilibrio qualora venga a mancare la piena coscienza dei vissuti «a patto che il conscio possa assimilare i contenuti proposti dall’inconscio, ovvero comprenderli e farli propri». Sembra essere questo l’assunto di partenza di Rosa Porasso, psicoanalista junghiana, meltzeriana e arteterapeuta, che sin dalle prime battute del suo saggio Il pianeta disorientato – sogni in pandemia (prefazione di Lella Ravasi Bellocchio, Moretti&Vitali, pp. 234, euro 15), nel capitolo «Istruzioni per l’uso», esplicita l’intenzione di trattare i sogni raccolti – presso se stessa, amici e pazienti – come «immagini del mondo e della storia, intrinsecamente curative». E curative in quanto prodotto collettivo di una «rete di sognatori» in grado di evocare e rielaborare «un filo di senso in una situazione altamente traumatica e traumatizzante» quale è certamente stata quella della pandemia, soprattutto laddove si consideri l’evento pandemico non solo come inquietante e minaccioso ma anche come rivelatore, in grado cioè di lasciar emergere lacerti di irrazionale, segni e simboli del profondo d’ognuno di noi.

E QUESTO PERCHÉ, ci spiega in dettaglio Porasso, «nei sogni in epoca di pandemia si ripropone l’idea che l’inconscio non sia solo un deposito di rimozioni e di storie individuali ma risuoni profondamente con gli eventi psico-sociali, ambientali e politici, con la trama di vissuti condivisi che toccano la nostra sensibilità», il che rende possibile prenderli in esame anche come nuova ipotesi di lettura della contemporaneità.

NON STUPISCE il fatto che nell’affrontare questo compito collettivo l’autrice, eludendo i rischi dell’analisi clinica rivolta al singolo donatore di sogni, scelga piuttosto di lavorare sui criteri dell’evocazione e dell’amplificazione fino a trattare i sogni come «quadri» che «richiamano altri quadri» e mettendoli dunque in contatto, con procedimento quasi sciamanico, con opere d’arte contemporanee e non solo – valga per tutti l’accostamento fra uno dei primi sogni trascritti dall’autrice e nel quale un terremoto scuote e sconnette le scale di un edificio fino a consentire al sognatore «di vedere in alto il cielo» e l’immagine biblica della scala di Giacobbe a sua volta in stretto dialogo con l’opera di Anselm Kiefer, artista contemporaneo di potenza acutamente visionaria e apocalittica.
Ecco allora finalmente istituita la connessione fra sogno e mito, fra sogno e opera d’arte, ma anche fra virus e inconscio, entrambi «invisibili e sconosciuti» ovvero «riconoscibili solo dai loro effetti sintomatici».
Si viene così a costituire, attraverso l’articolato svolgersi del saggio (secondo un seducente indice anche tematico: La guerra, La scuola, Chiusura: sicurezza e trappola, ma anche: Ci salverà l’acqua? Ci salveranno gli animali? Arrivano gli antenati, e via di seguito) la concreta possibilità di lettura e comprensione di ciò che tutti abbiamo vissuto e sognato, dal marzo 2020, spettatori spesso allibiti e disorientati di un fenomeno straordinario, di portata mondiale.
Nella necessità di istituire e organizzare un nuovo paradigma collettivo, sociale e culturale, che ci consenta di metabolizzare in modo limpido l’accaduto, occorre insomma imparare a «lasciar affiorare il mistero», farsene partecipi riconoscendolo come sintomo buono e salutare, secondo un rituale di lettura e comprensione dialogante e plurale capace di metterci in contatto con ogni parte del nostro essere, poiché, come ha scritto Cristina Campo, «i sogni sanno sempre quello che fanno».

DEL RESTO, il sogno ha da sempre valore costitutivo della narrazione epica o sacra e religiosa: anche per questo l’ipotesi di configurare una comunità sognante proprio nel momento di massimo isolamento sociale a livello planetario ci risulta non solo affascinante ma anche plausibile. Attingendo da uno degli ultimi sogni citati dall’autrice si raccoglie l’immagine di «tre biglietti due bianchi e uno rosso che si intravedeva nel mezzo» dove, oltre al riferimento al pericolo rappresentato dal coronavirus, è possibile considerare anche le ipotesi aperte dal bianco, a esempio secondo le parole di Kandinsky: «Il bianco, che è spesso considerato un non-colore (…) ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto. È un silenzio che non è morto, ma è ricco di potenzialità».
Un bianco, dunque, che ci interroga e al tempo stesso ci suggerisce una feconda direzione di ricerca, proprio come l’inquieta e preziosa scommessa che la studiosa ci propone nel suo libro e che Lella Ravasi Bellocchio ribadisce nella sua bella prefazione: lavorare «per quelli che hanno bisogno di vedere con altri occhi rispetto alla stupidità che ci circonda di insensatezza». Perché i sogni possono svelarci e insegnarci molte cose del mondo, anche in una società complessa come la nostra.

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