Le crisi non sono solo fasi di transizione caratterizzate da tensioni e rotture ma anche momenti di selezione ed accelerazione di tendenze in atto da tempo. Certamente questo sta accadendo con la pandemia che ha radicalizzato l’impatto dei processi di digitalizzazione e del capitalismo delle piattaforme: dal modo di lavorare al tempo libero non c’è aspetto della nostra vita, in tutte le coorti d’età, che non sia ormai mediato stabilmente ed indelebilmente dalle tecnologie digitali. L’impressione è che in poco meno di due anni non si sia verificato solo un cambiamento quantitativo e strutturale nel rapporto tra società e tecnologie; bensì un vero e proprio salto qualitativo che ha diffuso al livello di massa un nuovo senso della realtà generato dalla crescente ibridazione tra umano e macchina, tra soggetto e oggetto, tra potere e conoscenza.

ATTRAVERSO un’analisi serrata, ricavata dalla consultazione di una mole impressionante di documenti, Big data e algoritmi. Prospettive critiche di Teresa Numerico (Carocci, pp. 292, euro 26) mette al centro i due temi chiave che l’annuncio di questa società della digitalizzazione radicale solleva: la costruzione del rapporto con la realtà e quello del rapporto tra umano, potere e intelligenza artificiale. Una messa a tema che è anche una necessaria operazione di de-mitizzazione e disvelamento.
Cosa sono i big data e gli algoritmi? Essenzialmente un modo di rappresentare e costruire pragmaticamente la realtà sociale. Infatti, come spiega bene Teresa Numerico, con big data dobbiamo intendere la mole impressionante di informazioni generate dalle «tracce» dei nostri comportamenti in Rete. L’algoritmo è invece l’insieme dei passaggi prestabiliti che la macchina deve compiere per elaborare le informazioni. Quello che si è generato negli ultimi anni e che ormai invade le nostre vite e il nostro stesso essere, non è un rapporto più sofisticato, complesso, profondo con la realtà, come potrebbe suggerire l’intrinseca complessità tecnica del funzionamento delle macchine digitali. E neppure un ampliamento della discussione pubblica.

Al contrario, la filosofia della conoscenza e della stessa scienza diffusa al livello di massa dalla coppia «big data\algoritmo» è un pragmatismo estremo, un realismo ingenuo alla massima potenza che fa della superficialità il suo valore assoluto. Come sottolinea Numerico, il programma in corso dice che avendo a disposizione una mole mai avuta prima a disposizione di dati che «registrano» ogni aspetto della nostra vita e che rilasciamo ogni volta che postiamo su un social network o che effettuiamo un pagamento con carta di credito, quello che si deve fare non è cercare di conoscere il perché dell’agire – preoccupazione principale della scienza «tradizionale».

MA SEMPLICEMENTE individuare le molteplici relazioni tra le cose. Lo scopo? Offrire una guida variegata e basata sul puro dato empirico per effettuare previsioni sul futuro comportamento delle persone e, quindi, generare decisioni apparentemente più solide ed efficaci. Soprattutto nel campo del marketing, delle strategie aziendali e, sempre di più, delle stesse politiche pubbliche. Analisi e controllo, decisione e manipolazione divengono un tutt’uno. Ciò che più inquieta e lascia il segno è la nuova mentalità introdotta da tutto ciò: la riflessione teorica, l’interrogazione sulle cause, la ricerca della profondità, sia nella scienza che nella vita quotidiana, perdono di importanza. Quello che conta non è spiegare ma agire sulla base delle migliaia di correlazioni significative tra i processi e gli eventi, anche e soprattutto logicamente e «ontologicamente» slegati, che i big data processati dagli algoritmi fanno emergere.

E qui veniamo al rapporto tra l’umano e le macchine. L’apparente ingenuità, immediatezza e neutralità di questo programma nasconde ciò che lo genera e lo rende possibile. In primo luogo, il fatto che gli algoritmi come i dati sono il prodotto di esseri umani, i programmatori e i proprietari delle piattaforme – entrambi prevalentemente maschi, bianchi, di classe medio-alto – che fanno delle scelte, riproducono pregiudizi, promuovono e sono al servizio di certi rapporti di potere.
Rapporti di potere, e questo il secondo punto, che sono celati dall’apparente neutralità della macchina e che invece rispondono alle logiche del capitalismo delle piattaforme e alle esigenze, specie nei regimi dittatoriali, del perfezionamento del controllo dello Stato sulla società.
Il libro di Teresa Numerico mette a confronto questa vertigine dell’annuncio di un mondo dominato da tanti poteri che si nascondono dietro le macchine e generano un senso pratico ingenuo e disumanizzante con le tante imperfezioni, limiti e contraddizioni che ne impediscono il pieno dispiegamento. Ma fino a quando? Fino a quando, moltiplicando investimenti e tentativi tecnici, la vertigine non si trasformerà nella realtà tout court? E quando avverrà, saremo ancora in grado di rendercene conto?