Cultura

Una radicale orazione civile contro la guerra

Una radicale orazione civile contro la guerraCharlie Chaplin in una celebre immagine del film «Il grande dittatore» che diresse e interpretò nel 1940

Scaffale «Dio non salvi il re» di Raniero La Valle, per Edimedia. Per l’autore va completata ora la scelta che il ’900 ha in parte fatta fra la belva e l’angelo

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 25 ottobre 2024

Alto, teso, visionario, l’ultimo saggio di Raniero La Valle, Dio non salvi il re (Edimedia, pp. 112, euro 9) è una grande orazione civile e insieme una meditazione profetica per la vastità e direi la radicalità spirituale della visione. È proprio questa combinazione mozzafiato di azione e contemplazione a farne l’originalità, un’originalità perpetua come quella di una fonte che sgorga da tanti e tanti anni: c’era ancora il Regno quando a 14 anni La Valle scrisse la sua prima lettera politica.

DA SEMPRE, FORSE, La Valle conosce per esperienza il detto di Simone Weil, che bisogna parlare delle cose eterne per essere attuali e, si può dire, per smuovere le coscienze e muovere all’azione, in tutta la sua rischiosa contingenza, in tutta la sua precaria provvisorietà. Perché cos’altro è in gioco se non le cose ultime, quando si parla di guerra e di pace, non nei romanzi ma nei parlamenti? Eppure i leader politici vigenti ne parlano con tanta aderenza alla feroce forza che «possiede il mondo e fa nomarsi dritto» (Manzoni), che i loro discorsi sono stracci da lustrascarpe quando non sono apologie di reato. E allora i filosofi, gli scienziati, gli scrittori, con poche eccezioni si ritirano a produrre pensieri senza fame e sete di giustizia, a volte divertenti ma sempre diversivi, come se avessero tutti imparato la malinconica lezione di Adelchi: «godi che re non sei». Non c’è luogo ad agire, nel mondo: «non resta/ che far torto o patirlo».

CHI È IL RE CHE DIO non deve salvare? È polemos, la guerra. Questo pensiero con cui un antico filosofo, Eraclito, tese lo specchio al caos feroce e idiota che ancora ribolle in noi dai tempi dell’orda primitiva, è oggi stranamente ridiventato un «conformismo che si espande fino agli editorialisti… agli esperti geopolitici… a quasi tutti i capi di Stato e di governo». L’Europa corre in ordine sparso al riarmo, i documenti strategici del Pentagono sembrano scritti da quel personaggio chaplinano che giocava come un bambino con la sfera del mondo. Ma non c’è da ridere se dicono che nessuna potenza deve né superare né eguagliare quella statunitense.

La supposta sovranità della guerra si traduce in un’idea di politica come sovranità di Uno sul mondo: il potere sovrano finisce per assumere un valore sacrale, l’unilateralismo ridiventa teologia politica. E l’Onu, e l’Ue, nati per estromettere la guerra dalla civiltà, si suicidano. A rigore (si potrebbe pensare) ammettere che la guerra sia il presupposto della politica non comporta necessariamente che la politica debba continuarla, con altri mezzi o con gli stessi: al contrario, si può concepirla come l’arte di spegnere la guerra. Ma certamente non è la «sovranità» (di uno o di alcuni) che aiuterà a questo. È semmai la cessione di sovranità necessaria a una Costituzione per la Terra – alla piena attuazione di una federazione mondiale delle repubbliche, il grandioso progetto di riforma dell’Onu che a lungo La Valle ha condiviso con Luigi Ferrajoli.

Ma La Valle qui va oltre: non, forse, nell’orizzonte della teoria, ma nel pensiero vissuto, sofferto, della storia. Entrambi sentono l’umanità a un bivio: è il sottotitolo del libro di Ferrajoli. Ma per La Valle va completata adesso la scelta che il Novecento ha in parte fatta fra la belva e l’angelo, fra la guerra e la carta dell’Onu, fra la tradizionale idea che esistano guerre «giuste» e il ripudio della guerra come negazione della ragione, dell’etica, del diritto e della politica. Adesso: nelle case, nelle strade, in mezzo alla gente, nell’opera quotidiana di costruire insieme i «Comitati di liberazione dalla guerra» per curare la tendenza al suicidio che ci divora.

È così che si fa quando «la casa brucia», ed è così che la voce di questo profeta si mischia alle altre che oggi assumono la pace «quale ‘criterio’ del politico, al posto del contrasto Amico-Nemico». È in questo «viene l’ora, ed è ora», che fu detto dal Cristo alla Samaritana, che questa voce si fa preghiera. È cogliendo il presente come punto della creazione, che «coinvolgiamo Dio nella nostra tragedia». Non teopolitica ma il contrario: senso del nostro oggi come origine, creazione, attualità. Forse la vera tragedia è che intellettuali e politici piccoli e grandi non l’abbiano capito. E che la Pace, lungi dall’avere un trono, non ha ora nemmeno voce al Parlamento europeo.

OGNI PROFEZIA è visione del presente e della storia insieme. E questa, che pure ribadisce la passione e la fede di una vita, vede un Israele che «si converte», con l’intero Occidente, all’universalismo cui non bastarono i Lumi. «La salvezza viene dai giudei», aveva detto il Nazareno alla Samaritana, in una libera conversazione in cui ethnos e religio si sciolgono in una luce di «spirito e verità». Non è solo la guerra russo-ucraina che deciderà il bivio fra salvezza e fine dell’umano. «Invece la vera carica esplosiva che minaccia la storia – e per la quale ne va della continuazione della civiltà e della vita sulla terra – è la crisi israeliana: è lì il crinale apocalittico della storia di cui parlava La Pira». Non è il solo omaggio di La Valle agli «amici e maestri» del suo lungo viaggio, alla sua cara gente che se ne è andata. Forse è davvero il momento di ascoltarlo.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento