Nel video di cinquanta secondi girato dai Ros, e divulgato, s’intravedono frammenti del covo dove Matteo Messina Denaro s’è nascosto per almeno due anni. La casa è in via Cb31 a Campobello di Mazara, comprata per 15 mila euro dal geometra Andrea Bonafede, arrestato per associazione mafiosa, stesso reato contestato a Giovanni Luppino, l’autista che ha accompagnato il mafioso nella clinica ‘La Maddalena’ a Palermo, dove è stato catturato.

Sulle pareti bianche c’è il poster di Marlon Brando nel ruolo del Padrino, l’immagine di Al Pacino protagonista del film cult di Francis Ford Coppola e il ritratto di Joker. La telecamera si sofferma nel salotto: c’è una tv, sopra una mensola con dei libri, un divano marrone con tre cuscini. Una abitazione come tante altre. L’immagine scorre su un lungo corridoio, si vedono due animali di peluche (una scimmia e leone), e poi in una stanzetta con una panca per allenarsi, scatole e scarpe ammassate. L’ultimo frame è nel bagno. Nessuna immagine della camera da letto e della cucina, dove gli investigatori stanno continuando a cercare elementi utili alle indagini.

L’ultima scoperta è stata la pistola Smith & Wesson 38 special, con 5 proiettili in canna pronta a sparare. Messina Denaro l’aveva nascosta in un doppio fondo di un mobile della cucina accanto ad altri 20 proiettili dello stesso calibro. L’arma aveva la matricola abrasa, ora è al vaglio dei Ris per gli accertamenti tecnici: si dovrà scoprire se abbia mai sparato e se sia compatibile con revolver usati per commettere alcuni degli omicidi di cui il padrino di Castelvetrano è accusato. Nel covo è stata trovata anche una parrucca da donna, l’ipotesi è che sia stata indossate da donne che nel tempo hanno frequentato il capomafia. Ma proprio le condizioni del covo, secondo lo storico pentito Gaspare Mutolo, alimentano i dubbi circolati subito dopo l’arresto. «È stata una messa in scena, il covo è stato sapientemente ripulito prima dell’arrivo dei carabinieri – sostiene il pentito – Gli investigatori hanno trovato solo quello che lui voleva si trovasse, c’è poca roba. Mica hanno trovato l’agenda rossa di Paolo Borsellino?». E la cattura del capomafia «è il risultato di un accordo».

Sui fiancheggiatori e sui chi ha contribuito a finanziare la lunga latitanza del boss si stanno concentrando gli sforzi degli inquirenti. Si valuta la pista dei proventi delle scommesse on line, partendo da due inchieste della Dda di Palermo: una del 2018, a carico dell’imprenditore Carlo Cattaneo, e una del 2019 che coinvolse Calogero Jonn Luppino. Entrambi svolgevano la loro attività nel settore delle scommesse online. Nei confronti di Luppino, condannato a 18 anni per mafia, estorsione e intestazione fittizia di beni, è stata disposta una confisca milionaria. Per gli investigatori, l’ascesa imprenditoriale nel mondo delle scommesse e dei giochi online di Luppino sarebbe stata agevolata da esponenti dei mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo che obbligavano alcuni esercizi commerciali del trapanese a installare le macchinette delle società. In particolare l’attività di Luppino sarebbe stata sovvenzionata dai familiari di Messina Denaro.

Quando ci fu la perquisizione nella sua casa i carabinieri trovarono nell’abitazione a Tre Fontane, frazione marinara di Campobello di Mazara, otto lingotti d’oro e centinaia di migliaia di euro in contanti. «L’inquietante rete di protezione a diversi livelli di cui ha beneficiato il latitante, senza la quale non avrebbe potuto sottrarsi per così lungo tempo alla cattura, pone seri interrogativi e apre scenari per certi versi inesplorati sul grado di penetrazione di Cosa nostra nel tessuto sociale e istituzionale», ha sostenuto ieri il presidente della Corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca, nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario. «Raggiungere la verità – ha detto Frasca – è un diritto dei familiari delle vittime e della comunità ed è un dovere delle Istituzioni. Peraltro, è triste constatare che, accanto a queste manifestazioni che richiamano il ’fresco profumo di libertà’ di cui parlava Paolo Borsellino, persistano ancora sacche più o meno ampie di indifferenza e disinteresse, se non quando di dissenso, che impongono di non indulgere a facili e pericolosi trionfalismi».