Economia

Una «piattaforma» aperta e libera per ogni «business»

Telecom Presentato ieri il nuovo quartier generale di Tim. In controluce la linea guida del piano industriale che sarà presentato a Febbraio

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 14 gennaio 2016

Internetbandalarga

La Rete è stata fin qui neutrale; e neutrale deve restare. La privacy va sempre garantita, così come la sicurezza dei dati. La convergenza tecnologica è un’opportunità per affermare la libertà della comunicazione, nonché il diritto di accesso e la condivisione della conoscenza. Affermazioni che vengono non da un mediattivista, ma dall’amministratore delegato di Tim Marco Patuano, marchio che racchiude ormai sia la rete per le telecomunicazioni, che la telefonia fissa e mobile. L’occasione per ribadire questa «filosofia aziendale» è stato l’incontro, svolto ieri a Roma, dove Tim ha presentato il progetto del suo nuovo quartier generale nel quartiere dell’Eur e il nuovo logo della società delle telecomunicazioni.

Ma è stata anche il momento dove è stata annunciata la linea guida del piano industriale che Tim presenterà nel mese di Febbraio. Un appuntamento, quello di febbraio, che chiarirà se Tim si è scrollata di dosso l’«abito consumato» di una impresa «seduta» e incapace di muoversi in una realtà ad alta concentrazione di competitività. Patuano ha più volte scandito la parola «innovazione», segnalando che la presenza di personaggi come Tim Berners-Lee, Fabio Fazio e Pif delineano la volonta di essere una impresa che punta a qualificarsi come una società appunto innovativa, con una vocazione multinazionale. L’amministratore delegato ha parlato così di Tim come una «piattaforma» aperta e senza nessuna velleità di esercitare un controllo sulla comunicazione, gettandosi alle spalle l’immagine di impresa «chiacchierata» per come informazioni sensibili sono state usate da suoi dipendenti, consulenti, in collaborazione con il Sismi, finiti sotto inchiesta della magistratura alcuni anni fa per violazione della privacy di personaggi pubblici e di giornalisti.

Tim Berners-Lee è considerato l’«inventore» del world wide web. Più prosaicamente, l’allora ricercatore del Cern di Gineva ha messo a punto – anni Novanta del Novecento – un software e definì una architettura della comunicazione che consentiva una navigazione del web senza dover ricordare comandi o indirizzi «telematici». Un’innovazione, quella, che ha reso possibile l’attuale sviluppo della Rete. Altro merito di Berners-Lee è di aver imposto che tale software e architettura della Rete fossero di pubblico dominio. Dunque nessun brevetto o copyright per un software che poteva e doveva essere usato da tutti. E della necessità che la Rete resti aperta, così come debba essere garantito il diritto di accesso ad essa, è stato il leit motiv dell’intervento di Berners-Lee.

Meno definita è rimasta la vocazione multinazionale di Tim. Negli anni passati, Telecom ha perso terreno in molti paesi dove era presente: allo stato attuale è una realtà significativa solo in Brasile. Il proposito di diventare un big player è ovviamente ribadito, ma il quadro globale vede una competizione molto aspra e una tendenza a una sorta di nuova «nazionalizzazione» delle infrastrutture digitali. Per quanto riguarda l’Italia, Tim ha un patrimonio di esperienza e di know how per quanto riguarda la rete – fibre ottiche e banda larga -, ma ha perso terreno per quanto riguarda la telefonia mobile. Arranca rispetto Vodaphone e Wind, ma ha un temibile concorrente anche in Fastweb per quanto riguarda la banda larga. Per questo, Marco Patuano sottolinea la necessità di diventare una «piattaforma» che i produttori di contenuti e di applicazioni possono usare «in libertà». E rispetto alle recenti decisioni del governo di investire proprio nella banda ultra larga nelle zone cosiddette non di mercato, la parola d’ordine è «interventi sinergici», a sottolineare una divisione del lavoro, auspicata anche dal governo Renzi, che vede i privati investire e gestire dove c’è possibilità di un ricco business, lasciando allo Stato regioni e comuni dove di affari da fare non ce ne è traccia.

 

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