Alias

Una parola è poca e due so’ troppe

Il colonnino infame Non basterebbero tutte le ceneri del vulcano di Tonga per cospargersi il capo, a volte...

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 12 febbraio 2022

Ci sono momenti nella vita di un uomo – di una donna, di un fluid, d’un Beppe Grillo – che meno si parla, meglio è. Le parole sono pietre che possono rotolare così lontano da finire in testa a qualcuno pure a distanza di secoli: pensate a Gesù Cristo, ok… lui con la chiacchiera gli dava bello dentro ma si fosse almeno risparmiato quell’infelice «lasciate che i pargoli vengano a me», adesso il povero ex-papa Ratzinger non dovrebbe cospargersi il capo con tanta di quella cenere che manco l’isola di Tonga. Ma in quanto a pentimenti tardivi il vecchio pastore tedesco è in buona compagnia, da quando s’è fatto sfuggire in conferenza stampa che lui era «un nonnino a disposizione delle Istituzioni», Mario Draghi non fa che mordersi le mani: si fosse cucito la bocca non l’impallinavano come un tordo.

E dato che non c’è peggior tordo di chi non vuol sentire, ora mi tocca tirare in ballo pure l’avvocato Giuseppi, che quando l’avvocato Lorenzo Borrè – dopo aver già infierito sul Movimento con una trentina di ricorsi vinti – disse al collega con la pochette: «o ti accordi o ti cancello», Conte poteva pur fare buon viso a cattivo gioco, temporeggiando o magari invitandolo a cena in un ristorante pentastellato e «pagare il conto»… invece quello si fa scappare di bocca “sti cazzi» col risultato che un giudice di Napoli l’ha messo a pettinare le bambole. Altro politico incapace di tenere a freno la lingua? il sottosegretario Sileri che pensando troppo alla salute degli altri e poco alla sua, è sbottato contro i no-vax: «vi renderò la vita difficile!»; così in aggiunta alla mascherina FP2 che non si toglie manco quando va a letto e alla pistola che non si leva dalla fondina ascellare manco sotto la doccia, mo’ gli tocca pure il giubbotto antiproiettile quando va a fare la spesa. C’è poi il caso Sallusti, straparlatore bipolare che al calar della sera sibila in TV con sguardo d’oltretomba e il mattino dopo strilla titoloni alla Henry pioggia di sangue, per poi all’imbrunire ripresentarsi in TV in modalità zio Tibia; è in questa mortifera altalena che s’inserisce il suo redattore preferito Tommaso Montesano -figlio di cotanto Enrico- per il quale «lo spettacolo delle bare di Bergamo è come quello del lago di Duchessa», sta a dire che mancavano i cadaveri; voce dal sen fuggita come balbetta zio Tibia per non perdersi i suoi diciassette lettori di Bergamo alta, o logica conseguenza che a monte, di sano, padre e figlio tengono soltanto la seconda parte del cognome?

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