Una palestra a prova di Cartesio
Gloria Campaner
Alias Domenica

Una palestra a prova di Cartesio

Improvvisi È tutta colpa di Cartesio. Ce la dobbiamo prendere con lui (oppure lo dobbiamo ringraziare, dipende…)
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 giugno 2022

È tutta colpa di Cartesio. Ce la dobbiamo prendere con lui (oppure lo dobbiamo ringraziare, dipende…) se da quattro secoli ci troviamo imprigionati nella gabbia di un fatale dualismo: su un versante lo spirito, su quello opposto la materia oppure, per ricorrere al lessico cartesiano imparato al liceo, da una parte la res cogitans, la mente, il pensiero, liberi da ogni costrizione materiale, dall’altra la res extensa, costretta invece a fare i conti con le leggi meccaniche della natura, con il corpo, con la finitezza delle cose. Ne ha fatto le spese, ovviamente anche la musica o l’ars musicae, come la chiamava Descartes, la quale proprio allora, all’inizio del Seicento, diventa una disciplina speculativa, intellettuale, figlia della mente e smarrisce, anzi recide in modo sempre più netto, le radici che l’hanno sempre legata alla «fisica», alla materialità, alla sostanza concreta del suono e dei corpi che la producono.

E così siamo andati avanti per un bel po’: dall’astrazione del contrappunto alla idolatria della forma, dalla contemplazione della bellezza astratta del suono fino al matrimonio di interesse con l’etica e la morale. Niente di male, per carità: una strada fertile che ha prodotto le cantate sacre di Bach, il Fidelio di Beethoven, la Jupiter di Mozart e la Quarta Sinfonia di Brahms. Ma che ha sacrificato sull’altare del pensiero, anzi ha brutalmente cancellato, la dimensione fisica del suono e con essa il corpo agente, pulsante del compositore e dell’interprete. Ma non è detto che si debba morire cartesiani. Anzi, se nel paesaggio della musica attuale si intravede qualche nuovo rilievo, qualche macchia di colore sorprendente, è proprio il riscatto della Physis sul Nomos – come dicevano i vecchi sofisti. Ossia la rivincita del corpo, con la sua ingombrante presenza, sulla mente e le sue inafferrabili astrattezze.

Qualche sintomo affiora persino tra le pieghe della vita musicale italiana, di solito assai pigra e poco incline alle novità. Ecco tre episodi recenti e rivelatori. Primo: fine maggio, Malga Costa, mille metri di altitudine, lungo la Val Sella, provincia di Trento, cuore sonoro di «Arte Sella». Si festeggiano i vent’anni delle Fucine, i concerti «di stagione» inventati da Mario Brunello che quattro volte l’anno portano la musica a dialogare con le opere d’arte immerse nei sentieri e nei prati della valle. Giovanni Sollima, per l’occasione, dona un pezzo nuovo, in prima assoluta, per violino, viola, due violoncelli e pianoforte che s’intitola Quintetto sospeso. Alla fine del terzo movimento Brunello e Sollima posano a terra i loro violoncelli di legno e vanno a raccogliere dalle ex mangiatoie della malga due violoncelli di fieno, creati dalle mani di Julia Artico. Posati a terra, senza puntale, i due strumenti, letteralmente «inauditi», schiudono un suono irreale che sembra provenire da una lontananza metafisica: e invece è la terra che suona, è l’erba secca che fa sentire la sua voce, è il suo profumo di falce e d’estate che si trasforma in musica. Secondo: primi di giugno, Mantova, «Trame Sonore», il festival creato da Carlo Fabiano che per cinque giorni colma di musica i palazzi, le chiese, i teatri, i giardini, le strade della città.

Nei Giardino di Palazzo Castiglioni Laura Catrani – voce chiave della musica del nostro tempo – tiene un laboratorio di Girokinesis, un metodo di educazione «olistica» del corpo che aiuta i musicisti a porre al centro del fare musica la consapevolezza del proprio corpo e dei suoi meccanismi. Terzo: ancora Mantova, nelle stesse ore, in un palazzo del centro storico, Gloria Campaner – pianista di instancabile immaginazione – conduce un workshop intitolato «See Sharp» che in inglese suona do diesis, ma anche visione nitida, acuta, chiara. Una «palestra delle emozioni» in cui interpreti ed esecutori studiano a fondo, attraverso l’intarsio tra corpo e mente, la propria condizione emotiva di fronte alla sfida della performance. Probabile che, se l’avesse saputo, si sarebbe iscritto anche Cartesio.

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