ExtraTerrestre

Una montagna di opportunità dopo il Covid

Il fatto della settimana Le terre alte, per troppo tempo dimenticate, devono ritornare al centro di politiche che tutelino gli habitat naturali e chi li vive. Dieci proposte/sfide

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 25 giugno 2020

La montagna di nuovo al centro dell’interesse di molti. Una montagna percepita come luogo pulito (aria, acqua), dove esistono relazioni umane, di prossimità. Mai come in questo momento, in cui il pericolo sanitario e l’isolamento sociale ci hanno toccato così da vicino, questi aspetti, spesso dimenticati o relegati alle «fughe» dei fine settimana, sono diventati importanti nel quotidiano, tanto da entrare a far parte dei «bisogni» e dei sogni a cui tendere, tanto che molte richieste che stanno giungendo alle aziende di soggiorno dei paesi di montagna non sono più solo per il fine settimana ma sono per «case da affittare tutto l’anno», nelle Alpi come negli Appennini.

DI CONTRO, PROPRIO IN QUESTO PERIODO è emerso anche quanto la montagna sia stata, negli anni, abbandonata dalla politica, dalle politiche, sia regionali che nazionali, le quali hanno quasi sempre ragionato, più che per territori da presidiare, per tutti, in base al parametro dato dal numero di persone presenti: poche, quindi servizi da tagliare o, nella migliore delle ipotesi, da ridurre. Col Covid-19 la carenza di medici e di servizi sanitari nei territori montani (ospedali chiusi o fortemente ridimensionati) è apparsa in tutta la sua drammaticità.

IN QUESTO QUADRO NON VA CERTO dimenticato ciò che ha portato, oggi come in passato, alla diffusione di pandemie molto pericolose per il genere umano e cioè l’alterazione degli habitat naturali, la deforestazione selvaggia, il commercio di animali selvatici vivi e morti, gli interventi fatti sulla natura per fare spazio agli allevamenti intensivi…

Le montagne, in questo quadro, da luoghi dimenticati, bistrattati, possono e devono, nell’interesse di tutti, ritornare al centro delle scelte della politica non per essere una appendice delle città ma per essere quello che sono: luoghi ricchi di specie e valenze, anche culturali e simboliche, preziosissime. Prima tra tutte il fatto che la montagna ha sempre insegnato, con la sua fragilità, bellezza e unicità, che c’è un limite oltre il quale non si può andare. Limite che pare vogliamo dimenticare: costruendo, distruggendo, penetrando, sventrando, con autostrade e impianti vari, estivi e invernali. E lo facciamo in un momento in cui i grandi valori della montagna (pensiamo all’acqua, al paesaggio) sono quelli che rappresentano il vero capitale da valorizzare in un’epoca in cui il cambiamento climatico porterà tante persone, nuovamente, in tutte le montagne del mondo. Sta a noi decidere come.

Ed è proprio da queste considerazioni che bisogna ripartire, per ragionare su quale ruolo le zone di montagna possono avere, oggi. Per tutti e per chi ci vive.
A questo proposito propongo dieci proposte/sfide su cui ragionare:

1 – RI-DEFINIRE I PARAMETRI DA UTILIZZARE – alla luce della situazione attuale e del vero valore dei territori – che non possono essere solo il numero di abitanti, ma tanti altri elementi di valore: acqua, aria, biodiversità, boschi… Quelli che vengono definiti servizi eco sistemici e per il riconoscimento dei quali l’Uncem sta lavorando in modo molto serio e approfondito.

2 – CONSIDERARE LE MONTAGNE, I CORSI D’ACQUA, i boschi, le aree protette, un patrimonio collettivo di enorme valore, da presidiare, gestire e non dilapidare. Sono gli ultimi spazi preziosi che abbiamo e non vanno compromessi, magari con politiche come gli incentivi all’idroelettrico su cui molte proteste sono state espresse, anche in Europa. Un patrimonio naturale che altri Paesi sanno far fruttare, valorizzandolo.

3 – AMMODERNARE CON CONCETTI CHE GUARDANO al futuro. Ci sono ambiti, come la viabilità, certamente da migliorare, che fanno parte integrante della conservazione e della promozione dei luoghi di montagna. La Convenzione delle Alpi su questo indica chiaramente le priorità: linee ferroviarie e miglioramenti della viabilità esistente, servizi integrati e non autostrade e quindi la promozione del trasporto su gomma.

4 – RI-VALUTARE IN CONCETTO DI «LUOGO DI VITA» e dell’abitare. Il Coronavirus ci ha fatto capire che gli spazi urbani, molto ricchi di opportunità sono però anche luoghi dove il modo di vivere è troppo «concentrato» e per questo è potenzialmente anche pericoloso. Il dopo Covid-19 ci invita a esplorare territori oggi in parte abbandonati, dove c’è disponibilità di case (da sistemare), di verde, di silenzio, da ri-abitare.

5 – L’ACCESSO AI PRESIDI SANITARI VA GARANTITO a tutti, ovunque. Il Covid 19 ha messo in evidenza che se ci fosse stato un focolaio nelle zone di montagna i presidi sanitari sarebbero stati insufficienti, anche per i residenti a causa dei tagli operati negli anni agli ospedali di montagna. Ma questo, che è stato il vero motivo dell’invito a non raggiungere le seconde case, è stato messo poco in evidenza e ora, nel post Covid, bisogna chiedere alla politica di riparare ai danni fatti negli anni ripristinando reparti e ospedali chiusi con logiche contrarie al corretto presidio dei territori.

6 – LA CULTURA DELL’ACCOGLIENZA, ASSIEME al patrimonio naturale e agli aspetti culturali, storici e paesaggistici, ha sempre fatto da elemento distintivo della montagna. Elemento, questo, che andrebbe rivalutato, in quanto, dove non è stato dimenticato, ha portato benefici, sia a chi è accolto che a chi accoglie. Alcuni esempi vanno in questa direzione: l’albergo e l’ospitalità diffusa che hanno ripopolato molti piccoli centri o l’accoglienza dei richiedenti asilo che ha permesso, in taluni casi, di «salvare» dalla chiusura le scuole. Per non parlare di quelli che Dislivelli definisce «i nuovi montanari»: persone che scelgono la montagna provenendo dalla città…

7 – I TERRITORI MONTANI VANNO PRESIDIATI con posti di lavoro e servizi adeguati. Per vivere in un luogo, per costruire il proprio futuro bisogna avere a disposizione un lavoro, scuole, ospedali, accesso alla banda larga, negozi, uffici postali, banche, e anche, forse, una fiscalità agevolata, compensativa dell’utilissimo presidio del territorio che fanno tutti gli abitanti delle terre alte. Lavoro significa leggere l’oggi, il dopo Covid, ai tempi del cambiamento climatico (più coltivazioni e meno sci). La parola chiave è diversificazione. Per l’agricoltura, l’artigianato, l’allevamento, i servizi forestali, del benessere, i servizi pubblici e il turismo.

8 – LA MONTAGNA COME LUOGO DI RESIDENZA, contro lo spopolamento. L’ultima frontiera riguarda la residenza variabile o alternata, da studiare anche a livello legislativo. Una casa in montagna e una in città. Case in cui stare, per lunghi periodi, da pensare per vivere e lavorare. Significa abitare diversamente i luoghi, essere e sentirsi parte integrante del territorio in cui si vive. Mettere testa, cuore, risorse.

9 – LA VERA SFIDA PER LA MONTAGNA è però quella di avere una visione d’insieme che metta l’ambiente al centro, opportunità di lavoro incluse, e integrando in modo armonico le diverse filiere. Le persone che abitano le montagne, quelli che le frequentano e coloro che sono deputati a gestirle, devono avere l’umiltà di capire le interconnessioni che ci sono tra ambito ambientale, sociale e spirituale.

6 – PER FARE TUTTO QUESTO BISOGNERA’ INVESTIRE sulla formazione di tutti, a cominciare da chi ha responsabilità politiche; su una prospettiva di lungo periodo che è fatta di conservazione; pianificazione; etica; cultura della cura; estetica. Sfide ardite? No. Sfide possibili. Per le montagne è il tempo di vivere e insegnare l’ecologia integrale. E’ l’unica possibilità, non ce ne sono altre per pensare un futuro possibile.

* Giornalista, responsabile di «Casacomune», Scuola e azioni del Gruppo Abele e referente del Gruppo Promotore Parco del Cadore

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