ExtraTerrestre

Una minaccia nelle profondità in alto mare

Gli oceani del Pianeta potrebbero subire gravi e irreversibili danni dall’avvio di estrazioni minerarie in alto mare. È quanto emerge da In acque profonde, report lanciato da Greenpeace International che […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 25 luglio 2019

Gli oceani del Pianeta potrebbero subire gravi e irreversibili danni dall’avvio di estrazioni minerarie in alto mare. È quanto emerge da In acque profonde, report lanciato da Greenpeace International che rivela come l’industria dell’estrazione mineraria in alto mare sia consapevole e noncurante del fatto che queste attività potrebbero portare all’estinzione di specie uniche. Per questo Greenpeace invita le Nazioni Unite a stipulare un Trattato globale sugli Oceani, che sia in grado di dare priorità alla conservazione di questi ecosistemi e non al loro sfruttamento.

Gli abissi sono il più grande ecosistema del Pianeta, nonché la casa di creature uniche. L’avidità di questo nuovo settore industriale potrebbe distruggere le meraviglie presenti sui fondali degli oceani prima ancora di avere la possibilità di osservarle e studiarle. Ad oggi, infatti, solo circa lo 0,0001% dei fondali degli abissi è stato esplorato. Il nostro report mette in guardia dalle inevitabili minacce alla vita marina in vaste aree degli oceani del Pianeta che potrebbero derivare dalle operazioni minerarie e dall’inquinamento da sostanze tossiche, se i governi permetteranno che l’estrazione in acque profonde inizi. Le attività minerarie potrebbero inoltre amplificare il fenomeno del cambiamento climatico causando il rilascio di carbonio intrappolato nei sedimenti marini o interrompendo quei processi che facilitano la cattura di carbonio nei sedimenti marini profondi. Anche se le attività commerciali di estrazione mineraria non sono ancora iniziate, sono già state rilasciate 29 licenze di esplorazione a paesi come Cina, Corea, Regno Unito, Francia, Germania e Russia, che hanno rivendicato vaste aree del Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, per una copertura complessiva di circa un milione di chilometri quadrati, pari quasi a due volte la superficie della Spagna. In acque profonde mette inoltre in evidenza anche la debolezza dell’attuale governance oceanica, con l’International Seabed Authority (ISA), l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di regolamentare l’industria dell’estrazione mineraria in alto mare, che dà priorità agli interessi delle imprese a discapito della protezione marina. Per Greenpeace è essenziale che i governi si accordino su un trattato Onu abbastanza forte da aprire la strada alla creazione di un network di santuari oceanici inaccessibili ad ogni forma di sfruttamento.

Per chiedere ai principali marchi tecnologici mondiali di prendere le distanze dall’estrazione mineraria in alto mare, Greenpeace ha lanciato una campagna per gli utenti di marchi come Apple, Google, Microsoft e HP: bisogna invitare questi giganti a escludere qualsiasi uso futuro di metalli e minerali estratti dalle profondità oceaniche per la fabbricazione dei propri prodotti.

* responsabile campagna Mare di Greenpeace Italia

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