«Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo. C’è un mondo in cui tutti s’incontrano, è il mondo di mezzo». Il lancio di Caput Mundi – I mostri di Roma (Editoriale Cosmo, mensile, pp. 144 euro 5) sfrutta nientemeno che le parole di Massimo Carminati, il principale protagonista della vicenda di Mafia Capitale. E proprio il mondo di mezzo tra i vivi e i morti, quello della criminalità che controlla o vuole controllare Roma, è l’argomento del primo numero di questa miniserie a fumetti. La storia si inserisce in quel filone narrativo (ri)aperto negli ultimi anni da Romanzo Criminale, Gomorra e dal recente Suburra. Al cinema o in tv la narrazione di genere ha visto una rinascita negli ultimi anni. Il mondo del fumetto, al contrario, ha sempre continuato a vivere e prosperare sul genere.

Caput mundi entra nella scia dei successi di pubblico, e anche di critica, di questi ultimi anni e lo fa unendo l’elemento del crimine a quello del soprannaturale: «i mostri di Roma» che popolano il mondo di mezzo sono mostri veri e propri, che interagiscono con le figure tipiche del potere politico e criminale della Città Eterna. Questo primo numero, sceneggiato da Michele Monteleone e Dario Sicchio (autori insieme a Roberto Recchioni anche del soggetto) e disegnato da Pietrantonio Bruno racconta proprio il sottobosco criminale romano ritratto anche nei film e nelle serie tv. Ci sono tutti gli elementi classici: le batterie criminali che lottano per un posto al sole, la rapina che non va come preventivato, i tossici, le spie, le innominabili influenze vaticane sulla Città Eterna. I protagonisti della storia sono tre lupi mannari che, insieme a un altro gruppo di criminali più o meno assortiti tentano di fare il colpo della vita. Le cose, ovviamente precipitano e il finale è un massacro che vede come protagonista il vampiro Pietro Battaglia, protagonista di una collana personale in cui vengono raccontati alcuni eventi della storia d’Italia attraverso la lente del noir.

Battaglia è anche al centro dell’operazione Universo Cosmo, di cui Caput Mundi è il primo tassello: la creazione di un universo narrativo condiviso in cui i vari personaggi possano interagire. I disegni servono in maniera dinamica una sceneggiatura dal ritmo incalzante, in cui spicca l’uso del romanesco in alcuni dialoghi. Vale la pena citare la bella copertina di Marco Mastrazzo. Il richiamo di questa prima storia ai film e alle serie di genere tornate di moda in tv e al cinema in questi ultimi anni è evidente, fino alla scelta di dare dei nomi come «Inglese» o «Topo» ai personaggi, alla maniera di Romanzo Criminale, ma l’aggiunta dell’elemento soprannaturale crea un nuovo livello di narrazione. Il meccanismo di identificazione con i protagonisti funziona come con il Libanese o il Freddo, in cui si tende a empatizzare con quelli che, in realtà, sono dei criminali, per quanto sovrannaturali, che si trovano stritolati in un meccanismo più grande di loro e devono fronteggiare mostri ben peggiori. La mente dietro questa operazione è Roberto Recchioni, creatore di Orfani e curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore.