Una marchetta ci seppellirà
Habemus Corpus Nel gergo giornalistico, il termine marchetta è da sempre usato per indicare un articolo compiacente che rinuncia a priori a imparzialità ed esercizio di critica.
Habemus Corpus Nel gergo giornalistico, il termine marchetta è da sempre usato per indicare un articolo compiacente che rinuncia a priori a imparzialità ed esercizio di critica.
Nel gergo giornalistico, il termine marchetta è da sempre usato per indicare un articolo compiacente che rinuncia a priori a imparzialità ed esercizio di critica. Da sempre la pubblicità e il potere hanno esercitato sui giornali forme di pressione e non sono infrequenti i casi di aziende importanti che hanno tolto il proprio investimento pubblicitario a una testata dopo un articolo non amichevole. Con il calo di vendite e le notizie gratis online, la professione giornalistica è sempre più incerta e mal pagata, tant’è che la pubblicità è diventata vitale per la sopravvivenza delle testate. In molte redazioni si parla esplicitamente di clienti anziché inserzionisti e si dice: «Bisogna trattarli bene perché sono loro a pagare i nostri stipendi». In questo andazzo c’è chi sopporta soffrendo e cerca di mantenere un minimo di distacco usando formule come «Il prodotto dice che, promette che», e chi invece si appiattisce sulle richieste e fa sviolinate.
Sia chiaro, l’imparzialità di giudizio e il distacco non hanno mai avuto vita facile in ambiti come moda, viaggi, bellezza, cucina, arredamento, auto, e spesso solo il fatto di segnalare un prodotto piuttosto che un altro è indicativo di un patto do ut des. Ma se un tempo il marchettaro era guardato dall’alto in basso, ora, con la crisi, si fa meno gli altezzosi. Siccome però c’è sempre qualcuno che ti sorpassa più a destra, un nuovo fronte della marchetta sta avanzando a grandi passi ed è quello delle influencer (per ora sono più donne che uomini). Non sono ufficialmente giornaliste, ma ne insidiano il potere di orientare gli acquisti. Nate sui social per documentare interessi e passioni personali, prima fra tutte la moda, o come vetrina della propria quotidianità, alcune sono ormai star con milioni di follower e sono corteggiatissime dalle aziende. Il fenomeno è così in espansione che la Bocconi ha da poco inaugurato un’Academy, a Torino è stato aperto un corso (RoundAcademy), a Los Angeles è nata Open Influence, una società che usando l’intelligenza artificiale individua i profili più seguiti sui social network e li mette in contatto con i grandi investitori pubblicitari. C’è anche influence.co, un sito che segnala gli influencer più efficaci, monitora i loro guadagni, dà consigli su come creare un profilo attrattivo.
Questo marketing, amato dai giovanissimi, non punta più su personaggi di cinema, tivù o musica, ma su persone come tante che emergono dalla massa e trasformano se stesse in un brand capace di influenzare scelte, acquisti e gusti. Diventare influencer di professione richiede tempo, abilità e dedizione, ma dà anche guadagni tant’è che c’è chi ha abbandonato i precedenti mestieri (avvocata, insegnante, impiegata, ricercatrice) per diventare imprenditrice della propria immagine. Viaggiano molto, le più famose sono pagate per presenziare a eventi, lanci, inaugurazioni, lavorano con estrema attenzione foto e video prima di postarli, interagiscono ogni giorno con chi le segue, alcune hanno un commercialista o un agente che tiene contabilità e contatti. Ovviamente, non possono mai parlare male o maluccio di ciò che promuovono.
C’è da scommettere che fra non molto una delle professioni più agognate sarà l’influencer ed è qui che si apre una gigantesca questione, ovvero chi influenzerà chi se tutti ambiscono ad avere un codazzo? A chi si crederà se ogni scatto o post hanno uno sponsor? Come faremo a distinguere fra sincerità e mercato? Sarà una bolla o un nuovo futuro? Temo che in un avvenire non lontano una gigantesca marchetta ci seppellirà. Come diceva Eduardo, a da passà ‘a nuttata. Speriamo solo che non sia troppo lunga.
mariangela.mianiti@gmail.com
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