Esengo, Alhan e Galoba sono i primi titoli della collana Musichemigranti, edita da NeoClassica, per condurci alla scoperta di inaspettati «scrigni di culture» nei quartieri di Roma. Luoghi sacri in cui alcune comunità diasporiche hanno ricostruito, con i propri canti e rituali, uno «spicchio di madrepatria», innestato creativamente e pian piano radicato nel tessuto della metropoli, anche ad uso delle seconde e future generazioni.

Il primo volume, di Alessandro Cosentino, Esengo (pp. 130, euro 20) che significa «gioia» in lingala, racconta come il coro Bondeko della chiesa congolese, nella zona di Piazza Navona, animi con le sue jam session liturgiche il paesaggio sonoro dell’iperturistico centro della capitale. Tra i palazzoni di zona Tiburtina invece Maria Rizzuto, con Alhan (pp. 120, euro 20) – «canto liturgico» o «lezione di canto» in arabo -, ci guida nella comunità dei Copti-ortodossi che hanno ricreato all’interno di un garage di mille mq una chiesa con arredi e paramenti giunti dall’Egitto. Infine, nei pressi del rione Monti, le mura della chiesa cristiano-ortodossa di Sant’Andrea risuonano di un patrimonio immateriale dell’Unesco, le polifonie della Georgia, tema di ricerca di Serena Facci in Galoba (pp. 192, euro 22), traducibile con «canto liturgico» o «canto degli uccelli», appunto in georgiano.

GLI AUTORI SCANDAGLIANO aspetti musicali e antropologici delle liturgie, con ascolti presenti nel sito della casa editrice e attenzione alle biografie dei musicisti, ma al contempo offrono al lettore la nuda emotività vissuta, la gioia, i dubbi e le contraddizioni sorte nel contatto profondo con le comunità. Comprendere come questi rituali siano sopravvissuti, trasmutandosi in un tessuto urbano europeo, attraverso pratiche come la cura dei luoghi di culto, il plurilinguismo liturgico o l’ampliamento dei linguaggi musicali ci dà una prova tangibile di adattabilità creativa dopo l’impatto dell’emigrazione. Anche come la musica in viaggio si sia trasformata in queste antiche liturgie, ad oggi preservate grazie all’autentica ed energica motivazione dei credenti, è un’inconfondibile traccia di flessibilità, protagonismo (agency) e resilienza, con un termine in voga.

IN CONGO, dai tempi dell’evangelizzazione dei preti portoghesi nel XVI secolo, fino al Concilio Vaticano Secondo del 1963, l’inclusività musicale ha dato vita a ibridazioni che sbarcando oggi in Europa hanno arricchito e rigenerato il repertorio religioso italiano. Notevole la resistenza dei Copti-ortodossi, già minoranza diasporica in patria, in Egitto, dove hanno resistito con la loro fede, alla conquista araba del VII secolo, alla successiva colonizzazione inglese e infine all’ideologia panarabica del Novecento, trapiantando oggi il proprio bagaglio culturale all’estero. In Georgia invece la religione praticata di nascosto durante il regime sovietico ha rappresentato una valvola liberatoria nel periodo successivo e un rifugio per tante donne emigrate, che attraverso le Chiese hanno riscoperto le tradizioni corali liturgiche del proprio paese di origine, affermandosi come musiciste, nonostante la fatica dei lavori di cura, che già di per sé le rende indispensabili colonne portanti della società italiana.

DECLINAZIONI SOCIALI e identitarie della religione forse incomprensibili dal punto di vista europeo, che spesso aborre la metafisica e «recide l’incommensurabile», come sostenevano già nel 1947 Adorno e Horkheimer. Tuttavia, approfondire queste pratiche transnazionali, come hanno fatto i tre autori è una chiave appropriata oltre che per esprimere gratitudine verso queste comunità, anche per avanzare nel complesso percorso di decolonizzazione del pensiero occidentale.