Una mappa per rileggere la storia
Mostre La Biennale di arti grafiche di Lubiana, diretta nella sua 35/a edizione da Ibrahim Mahama, riparte dall'Africa. In primo piano, le storie di resistenza e solidarietà tra il Ghana, paese dove vive il curatore, e l’ex Jugoslavia
Mostre La Biennale di arti grafiche di Lubiana, diretta nella sua 35/a edizione da Ibrahim Mahama, riparte dall'Africa. In primo piano, le storie di resistenza e solidarietà tra il Ghana, paese dove vive il curatore, e l’ex Jugoslavia
È una sorta di macchina del tempo la 35/a edizione della Biennale di arti grafiche di Lubiana, grazie alle opere selezionate dal direttore artistico Ibrahim Mahama e dal suo numeroso team curatoriale, che ci permettono di attraversare cartografie temporali e spaziali.
From the void came gifts of the cosmos è il titolo della mostra, che porta in primo piano storie di resistenza e solidarietà tra il Ghana, dove vive Mahama, e l’ex Jugoslavia, dove dal 1955, anno della sua fondazione, la Biennale di arti grafiche di Lubiana ha organizzato importanti incontri e workshop per promuovere alleanze transculturali tra i paesi non allineati.
Per Mahama la pratica creativa è sempre intesa come azione civile. In Italia è conosciuto per avere impacchettato Porta Venezia a Milano con un patchwork di sacchi di iuta che precedentemente contenevano fave di cacao. Sacchi scelti in quanto metafore della circolazione delle merci e delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori delle multinazionali del cacao. Le installazioni su scala urbana realizzate a Milano, e in altri spazi istituzionali, sono opere note a livello internazionale che gli permettono di sostenere economicamente istituzioni culturali ed educative in Ghana.
GRANDE PROMOTORE culturale, Mahama nel 2019 ha aperto Savannah Centre for Contemporary a Tamale, e l’anno dopo RedClay a Janna Kpenn, un vasto complesso di studi e spazi condivisi, gestito da artisti per sostenere la comunità locale.
Fonte di ispirazione per il concept della Biennale è stato il primo presidente del Ghana, il politico panafricano Kwame Nkrumah, che credeva nella creazione di un’Africa libera e unita attraverso l’ideazione di una dinamica infrastruttura culturale, scientifica ed economica. Alcuni tra gli artisti invitati (più di una cinquantina) hanno lavorato sugli archivi e la storia del Ghana. Janek Simon e Max Cegielski hanno cercato le tracce del monumento dedicato a Kwame Nkrumah, creato negli anni ‘60 a Winneba dalla scultrice polacca Alina Slesinska, che fu distrutto non appena il presidente fu deposto. Monumento di cui non sono rimaste tracce, se non nelle riviste d’arte polacche. Anita Afonu si è invece occupata della nascita e della morte del cinema in celluloide in Ghana e degli effetti che la perdita dei film hanno avuto sull’industria cinematografica del paese.
IN QUESTE OPERE gli artisti indagano l’ambiguità dei documenti storici, consapevoli del fatto che gli archivi sono dispositivi in grado di mettere in discussione la storiografia ufficiale. Entrambe le opere sono esposte a Cukrarna, un’ex raffineria di zucchero trasformata in centro per l’arte contemporanea, di cui è stata mantenuta la struttura esterna, reinventando però l’interno.
ANCHE L’INSTALLAZIONE dell’iraniana Sanaz Sohrabi presenta una costellazione di storie e documenti prelevati da archivi, riguardanti la storia dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio. Sohrabi traccia i cambiamenti socio-culturali causati dall’estrazione petrolifera occidentale in Medio Oriente, intreccia narrazioni di indipendenza politica, estrattivismo, colonialismo e rivoluzione, per sottolineare quanto il presente, cosi come il futuro, si compone di una serie di inizi e arresti, narrati in modo diverso a seconda di chi ne disegna gli schemi.
L’INSTALLAZIONE DI SOHRABI è ospitata a Mglc Grad Tivoli, edificio ottocentesco costruito nel parco di Tivoli, dal 1986 sede del Centro internazionale delle arti grafiche. Museo che raccoglie la più grande collezione slovena di stampe, grafiche e di libri d’artista, creata dopo la Seconda guerra mondiale. Tra le opere in mostra vi sono le stampe di Mohammad Omar Khalil. Importante incisore, insegnante e tra i fondatori della scuola e del laboratorio di grafica di Asilah, in Marocco, Khalil ha parlato di quell’esperienza il giorno dell’inaugurazione, insieme all’artista Abed Al Qadiri, che sta lavorando sul suo archivio. Il collettivo the School of Mutants ha presentato, invece, una serie di stampe riguardanti le copertine di libri e locandine di film di registi africani postcoloniali come Ousmane Sembene, Souleymane Cissé, Abderrahmane Sissako, tradotti nelle lingue slave e diffusi nell’ex Unione Sovietica e l’ex Jugoslavia.
«Abbiamo voluto creare un percorso interdisciplinare, con uno sguardo alla storia e alla contemporaneità. Per questo fin dall’inizio del nostro processo di ricerca abbiamo cercato di individuare gli spazi indipendenti attivi in città, e visitato le scuole slovene, per cercare di stabilire dialoghi con la scena locale. Ed è stata un’esperienza incredibile», ha affermato Ibrahim Mahama.
La Biennale si dirama infatti anche fuori dalle sedi istituzionali. Nello spazio autogestito Plac il collettivo di Space-maker El Warcha, attivo tra Tunisi, Londra e Lisbona, ha realizzato sedute e tavoli con materiali di reciclo.
IL COLLETTIVO KRATER ha creato un luogo di condivisione in un cantiere abbandonato. Un progetto transdisciplinare germogliato da uno spazio trascurato, simile a un cratere, che si trova nella periferia della città, che hanno occupato e reso accessibile. «Quello che sembrava un cratere ci ha permesso di riscoprire una serie di piante autoctone e selvatiche, che a causa dell’utilizzo di diserbanti chimici non erano più potute crescere altrove. Qui organizziamo workshop per fabbricare carta, lavorare manualmente il legno e la creta, nel rispetto dell’ambiente», afferma Danica Sretenovic, attivista e architetta tra le fondatrici di Krater. E aggiunge: «Siamo un collettivo di architetti, biologi, agronomi, educatori. Possiamo rimanere qui fino al 2024, perché l’anno successivo la municipalità dovrebbe costruire il nuovo palazzo di giustizia. Noi crediamo sia invece importante mantenere in vita questo progetto per la collettività, perché trova in noi una prova che i processi urbani non devono essere guidati unicamente dal capitale. Ci è stata infatti assegnata, non a caso, la medaglia Plecnik per lo spazio pubblico (parte del Premio Plecnik per l’architettura), proprio per nostre capacità di rigenerazione di spazi e contenuti».
IL VUOTO ARCHITETTONICO e la bellezza del rigoglioso e selvaggio spazio vegetale su cui opera il collettivo Krater è un esempio paradigmatico di quello che Ibrahim Mahama e i suoi collaboratori hanno voluto delineare con la Biennale, dove il vuoto creato dai fallimenti (politici) del passato, vuole essere il punto di partenza per attivare relazioni basate sulla solidarietà, l’amicizia e lo scambio.
Estremamente ricco di incontri, performance, concerti, giri in bicicletta, che permettono di conoscere luoghi non segnalati nelle mappe ufficiali, come il Santuario delle piante abbandonate, è il programma di eventi che accompagna la Biennale, visitabile fino al 14 gennaio 2024. Segnaliamo la proiezione del documentario Cuba: An African Odyssey della regista Jihan El Tahri, che mostra quanto il coinvolgimento di Cuba sia stato fondamentale per porre fine alla dominazione coloniale in alcuni paesi africani. Partendo dal fallito coinvolgimento delle truppe di Che Guevara in Congo per concludersi con la vittoriosa battaglia di Cuito Cuanavale in Angola.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento