«Guantanamo si trova a Cuba, ma è una base militare statunitense. Quindi gli americani dicono che i prigionieri si trovano in un altro paese, fuori dalla giurisdizione dei loro tribunali. E i tribunali cubani dicono…Al momento suo figlio si trova in una terra senza la giurisdizione di nessuno». L’avvocato Bernhard Docke cerca in tutti i modi di spiegare a Rabiye Kurnaz quanto sia complicato il caso che vede coinvolto suo figlio, prelevato e imprigionato a Guantanamo nel gennaio 2002 sulla base di un semplice sospetto di terrorismo. Un viaggio in Pakistan, qualche frase ingenua, la visita alle moschee. Tanto è bastato per risucchiarlo in una specie di buco nero per giorni, mesi, anni. E intanto il legale, per la prima volta in vita sua, si trova a difendere un assistito senza mai averlo visto. Il terzo millennio iniziò così.

SONO TRASCORSI poco più di vent’anni da allora, un’inezia. Eppure pensando a quanto accaduto nel frattempo, la vicenda di Murat Kurnaz, e di tanti come lui, sembra ormai confinata dentro un libro di storia antica. Le Torri Gemelle, le ritorsioni in Afghanistan e in Iraq, le propagandistiche guerre di civiltà, le decapitazioni, i proclami dei vincitori, le promesse di un bene superiore, gli attentati, la paura. E poi i rapimenti, gli arresti e la sospensione di tutti i diritti. Un brutale riassunto che sicuramente procede per difetto.
A volgere lo sguardo indietro, un po’ a sorpresa, è il regista tedesco Andreas Dresen che, proprio all’inizio del nuovo Millennio esordiva con Catastrofi d’amore, a suo modo un altro lavoro retrospettivo che osservava le prime conseguenze esistenziali dell’unificazione tra le due Germanie. Ma se nell’opera prima, Dresen ondeggiava tra un personaggio e l’altro, con Una mamma contro G.W. Bush a emergere è la sola protagonista Rabiye Kurnaz interpretata a da un esuberante Meltem Kaptan, premiata al Festival di Berlino come miglior attrice (e un altrettanto generoso premio è stato consegnato a Laila Stieler per la miglior sceneggiatura).
Un film che resta sospeso tra il dramma e la commedia. D’altro canto, una certa leggerezza sembra indispensabile per raccontare una storia piccola come quella di una famiglia di origini turche residente a Brema che, improvvisamente, si trova a battagliare contro il presidente degli Stati Uniti, Greorge W. Bush. Non tanto per sottovalutare gli orrori che sono alla base di questa storia, ma per sottolineare l’assurdità e crudeltà di un potere cieco.