Una magia allucinogena nella foresta amazzonica
Cinema Dal 5 al 13 marzo nuova edizione del Bergamo Film Meeting, nel programma anche «El abrazo de la Serpiente» di Ciro Guerra, tra i candidati all'Oscar
Cinema Dal 5 al 13 marzo nuova edizione del Bergamo Film Meeting, nel programma anche «El abrazo de la Serpiente» di Ciro Guerra, tra i candidati all'Oscar
Tra le infinite suggestioni del Bergamo Film Meeting si annidano anche Menschen am Sonntag (Uomini di domenica, Germania 1929) di Curt Siodmak, Robert Siodmak, Edgar G. Ulmer e Fred Zinnemann con accompagnamento dal vivo dei mùm, band islandese di synth rock, che inaugura il 4 al teatro Sociale, il nuovo film di Robert Guédiguian, Une histoire de fou, e El abrazo de la serpiente di Ciro Guerra, coproduzione colombiana, argentina e venezuelana.
Presentato alla scorsa Quinzaine di Cannes, il film di Guerra è ora uno dei cinque che si contenderanno l’Oscar come miglior film straniero domenica prossima. Una scelta meritata per una storia magnifica e fantastica che trascina in piena foresta amazzonica, a Vaupes, versante colombiano, ispirandosi ai diari di due figure singolari di studiosi e avventurieri.
Il primo un etnologo tedesco, Theodor Koch-Grünberg, che nel 1907 con grande rispetto si inoltrò nella foresta incontrando gruppi di indigeni che si credevano ormai sterminati dall’uomo bianco e dalle malattie da lui portate. L’altro un biologo statunitense, Richard Evans Schultes, che 40 anni dopo ripercorse le tracce del tedesco alla ricerca di una pianta magica e allucinogena (è stato tra l’altro autore con Albert Hofmann, sintetizzatore dell’acido lisergico, del lavoro intitolato The Botany and Chemistry of Hallucinogens).
Sulla scorta dei loro diari, corredati anche da disegni, Guerra intraprende il suo percorso nella foresta, ma ribalta il punto di vista. Protagonisti sono questa volta gli indigeni, perché il viaggio dei due bianchi è accompagnato dall’occhio e dalla sensibilità di Karamakate, potente sciamano dei cohiuano che vive completamente isolato ancorato alla propria cultura e alle proprie tradizioni. L’isolamento non è una scelta, è convinto che l’intero suo popolo sia stato sterminato dagli sfruttatori del caucciù che hanno compiuto scempi inenarrabili con la complicità del governo colombiano dell’epoca.
Quando l’esploratore tedesco, malato, accompagnato da Manduca lo scudiero indigeno strappato alla schiavitù del caucciù, incontrano Karamakate, questi è un giovane e dal fisico possente e dal carattere ruvido, che accetta di accompagnarli alla ricerca della Yakruna, la pianta allucinogena che potrebbe guarire Theodor, solo ponendo rigide condizioni e perché l’uomo bianco parla la sua lingua e gli ha prospettato la possibilità di incontrare qualche sopravvissuto del suo popolo.
Nel secondo incontro Karamakate vive sempre isolato, ma ormai non ricorda più granché della sua cultura, si considera un chullachaqui, un simulacro vuoto di essere umano, per questo accetta l’invito a seguire Richard che ha studiato le tradizioni degli indigeni e per esempio sa come preparare un caapi. Sulla loro strada in entrambi i viaggi incontrano una missione cattolica. La prima volta è gestita da un cappuccino spaventoso che governa i bimbi come fossero posseduti, anni dopo invece la missione si è trasformata in uno stravagante luogo di culto di un novello messia.
Tribù indigene trattate con rispetto nonostante momenti di incomprensioni e soprattutto foresta, foresta a perdita d’occhio. Allo spettatore cinematografico affiorano echi di Aguirre e Fitzcarraldo, Mission e Apocalypse Now (a tratti il racconto sembra davvero ricalcare Cuore di tenebra di Conrad).
Ma Guerra ha un approccio suo personale e singolare, a partire dalla prima apparente bestemmia: un film ambientato in un paesaggio dalle mille suggestioni girato però in bianco e nero (solo qualche momento di grafica allucinogena è colorato). Perché protagonista è la foresta, ma prima ancora i suoi abitanti originari. Per questo quando appaiono sono folgoranti. Karamakate giovane è interpretato da Nilbio Torres, etnia Cubeo, coperto da un semplice perizoma è una magnifica scultura. Da anziano il personaggio è affidato a Ta’fuiyama (ultimo rappresentante della sua etnia, un misto tra Ocaina e Huitoto), mentre Manduca è Yauenk Migue, questi ultimi hanno preferito il loro nome originale a quello rispettivamente di Antonio Bolivar e Miguel Dionisio dato loro da un prete cattolico. Il belga Jan Bijovet e lo statunitense Brionne Davis completano il cast.
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