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Una libreria a Campo de’ Fiori

Una libreria a Campo de’ FioriCatia Gabrielli – Massimo De Feo

Intervista Incontro con Catia Gabrielli tra gli scaffali della sua "Farenheit 451" in lotta contro i monopoli editoriali

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 marzo 2018

Fahrenheit 451 sono i gradi a cui brucia la carta, è il titolo di un libro di Ray Bradbury e del film del 1967 di Truffaut. Dal 1989 è anche il nome di una libreria che sorge a fianco della statua di Giordano Bruno, a Campo de’ Fiori a Roma.

L’ ha aperta Catia Gabrielli, che come tanti altri proprietari di librerie indipendenti deve fare quotidianamente salti mortali per continuare ad esistere, stretta nella morsa dei grandi monopoli editoriali.

In suo soccorso è stata lanciata a novembre una iniziativa di crowdfounding.

A Catia la parola.

È stata una campagna ideata da due miei clienti di Bologna, che conoscevano la difficile situazione della libreria. Lei è una dottoressa, una psichiatra, che ha offerto un suo romanzo, un noir ambientato nei giorni della Comune di Parigi, ai partecipanti al crowdfounding. Suo figlio è un fotografo e ha organizzato la pagina web.

Io ero un po’ perplessa, neanche sapevo bene cosa fosse il crowdfunding. È iniziato a novembre ed è finito a dicembre.

Per me è stato un miracolo, quando me lo hanno proposto mi sono detta no dai non è possibile, con questa crisi…. L’ autrice ha usato uno pseudonimo, Margherita Piazzi, il libro si intitola Il romanzo della Comune. Si poteva acquistarlo in pdf a un costo minore, in cartaceo con o senza dedica, e lusso con rilegatura a mano e carta giapponese.

C’ è un rischio di chiusura della libreria?

Siamo tutti disperati noi librai indipendenti, nel corso degli anni ho visto pian piano diminuire il flusso dei lettori, quindi c’è stato un crollo delle vendite. Gli affitti poi sono una grande spada di Damocle. Questa è una zona che ha una valutazione di mercato così alta che andrebbe analizzata…chi le fa queste valutazioni? Le fa l’offerta più potente, che in questi anni è stata quella delle ristorazioni, per cui hanno alzato gli affitti in maniera esponenziale, fuori dalla realtà.

Secondo me una valutazione reale dovrebbe essere fatta secondo le attività, quello che può entrare.

Quando hai aperto la libreria?

Nel 1989, non c’ è mai stata una libreria qua, è la prima libreria della piazza, prima c’era uno strano negozio di giocattoli. Io ero una appassionata di libri ma non avevo esperienza nel settore e la libreria man mano è cresciuta.

All’inizio c’era solo la prima sala con i libri e nella seconda facevamo incontri, mostre, corsi vari, di fotografia, mi ricordo di un incontro bellissimo con i cineasti francesi Straub e Huillet, e poi Enrico Ghezzi, Gianni Toti… abbiamo fatto tante iniziative, qualche settimana fa la presentazione del libro di Paolo Brogi sul ’68.

Ora ne stiamo preparando una sugli anni ’70, dovrebbe venire anche Tano D’ Amico.

In tutti questi questi anni ho visto entrare tanti scrittori e artisti qua dentro. Mi ricordo Marco Ferreri quando veniva la notte, Giulio Einaudi, le sue visite erano incredibili, si commentavano le edizioni, ci mostrava le collane a cui teneva molto, portava scrittori che poi avrebbe pubblicato, Vassalli è venuto con lui.

E poi Severino Cesari, Paolo Repetti, tra i tanti anche Lawrence Ferlinghetti. Ray Bradbury mi ha mandato un libro dedicato a me.

Gregory Corso?

No Gregory Corso stava sempre dal vinaio di fronte. Victor Cavallo veniva, e mi diceva che dovevo fare una libreria specializzata in sport e io lo guardavo con due occhi… Era stupendo, era un’altra Campo de Fiori, è cambiata molto.

Qui accanto c’ è una norcineria, che d’inverno vendeva salumi e d’estate scarpe…

Il salumiere c’è sempre stato, penso ci sia dall’800, delle scarpe me l’ hanno detto ma non l’ho visto, non so se è una leggenda metropolitana…

Io l’ho visto, era negli anni 70, prima che aprisse la libreria

Allora è così. Anche il mercato era completamente diverso, era un mercato alimentare, rionale, c’erano dei rituali che poco si mantengono, quando sul Gianicolo scoppia il cannone delle 12 tutti si lanciano messaggi da una bancarella all’altra, ma non è che io sento molto da qua, la mia è una bolla, una bolla sempre più isolata perché ormai sono sommersa dai tavoli dei ristoranti, mi scaricano la monnezza davanti, è una guerra, non hanno molto rispetto di questo spazio.

Ho provato a chiedere al Comune, alla precedente amministrazione, se potevo mettere dei tavoli fuori per far sedere i clienti, non mi avrebbe portato soldi, ma me lo hanno negato dicendo che questo non è un bar né un ristorante.

Tutto rema contro la bellezza di questa città.

Il centro storico non è più abitato, era un quartiere dove vivevano attori, più o meno famosi, artisti, in tanti sono passati da questa libreria, Anna Maria Guarnieri, Maddalena Crippa, Mariano Rigillo, Andrea Giardina – lo storico – Manuela Kustermann, Emilio Prini, e poi Sargentini, Nanni Moretti, Laura Betti, Fernanda Pivano, Raoul Vaneigem, registi italiani, francesi, Alain Resnais.

Una persona che non ho mai visto in libreria e mi chiedo sempre perché, quella che proprio avrei voluto avere qui è Rossana Rossanda. Le mando sempre i saluti, il suo La ragazza del secolo scorso per me è un libro che dovrebbero far leggere a scuola, è un libro magnifico.

Un giorno è entrato Spike Lee. I miei colleghi non lo avevano riconosciuto, «guarda quello, si crede di essere Spike Lee…». Era lui. Era il periodo in cui stava girando il film sulla strage di Sant’Anna di Stazzema.
Non ho mai visto Aldo Braibanti, che abitava al Ghetto, e neppure Amelia Rosselli, mi sarebbe piaciuto averla come cliente, ma veniva spessissimo suo cugino Aldo Rosselli.

Questa libreria rispetto a una Feltrinelli è ovviamente tutta un’ altra cosa…

Completamente, a parte che io non condannerei le Feltrinelli in toto perché ricordo quanto erano belle nel passato, quando ero ragazza, erano librerie di catalogo, il problema è che man mano sono diventate supermercati. Il profitto viene fatto sull’uscita delle novità, per questo ne escono tantissime.

Lo scorso anno sono usciti 66 mila titoli in un paese in cui legge meno del 40% della popolazione. Vuol dire circa 180 nuovi titoli al giorno, che restano a vista al massimo un mese dopodiché spariscono.

Il grande problema del nostro settore è la monopolizzazione, tutto nelle mani di pochi che dettano leggi, dettano regole, e tu devi stare a quelle, se non ci stai sei morto.

Che ne pensi delle librerie con bar annesso?

Sono contrarissima, è stata una moda, una cosa simpatica ma dobbiamo riflettere, noi siamo attività tutelate, se dovessi chiudere, per 4 anni qui potrebbe aprire solo una libreria o un’altra attività tutelata. E allora che fanno? Ci mettono 4 libri e fanno il bar, poi man mano i 4 libri scompaiono e resta il bar.

È un mestiere troppo difficile non puoi pensare di fare i cappuccini e i libri.

Ha senso dire che questa è una libreria di sinistra?

Senza ombra di dubbio, io sono antagonista a questo sistema. Come librerie indipendenti siamo riuniti ora in un’associazione, all’ interno dell’ Ali Roma, Associazione Librai Italiani, stiamo cercando di consorziarci e fare resistenza comune, abbiamo vinto un bando regionale ma è molto difficile riuscire ad avere i fondi, la burocrazia ci uccide.

Vorremmo fare sul web un sito comune dove mettere i nostri libri in modo che un lettore può vedere in quale libreria indipendente di Roma può trovare quello che cerca. S

iamo sempre di meno, ormai ci contiamo, disperati tutti. Vogliamo arrivare a una revisione della legge Levi, che stabilisce un tetto massimo di sconto a difesa delle librerie, ma che in realtà difende i monopoli nazionali dall’attacco dei monopoli esterni, come Amazon, che è arrivata a fare sconti del 30/40%.

Noi librai compriamo al 30% lordo che se poi vai a togliere il defiscalizzato, il portaimballo etc. diventa 25% anche 23%. Io uno sconto del 20% non lo posso fare.

La gente ormai tende ad andare al supermercato, tende a comprare da Amazon, da Feltrinelli, perché credono a questa leggenda che là trovano tutto. Certo trovi tutto nelle novità, ma vai a cercare qualcosa di qualche anno fa, ti dicono che è esaurito quando invece spesso basterebbe chiederlo all’editore ma loro non hanno tempo da perdere, vendono quello che hanno in grande quantità.

Tornando alla legge Levi, il 15% è uno sconto che può fare solo chi ha alla base uno sconto molto alto, quindi i monopoli, perché sono produttori, distributori e venditori al dettaglio. A loro il 15% va bene, attirano di più e tolgono lavoro a noi.

Ma è un gioco molto rischioso anche per il lettore, che alla fine non trova più quello che cerca, ti devi adeguare a quello che vendono nelle grandi superfici, non hai più la libertà di comprare e leggere quello che vuoi.

Produzione, distribuzione e vendita negli altri paesi sono separati, e così era anche qui quando ho aperto la libreria.

In Germania c’è il 0% sconto. In Francia c’è la legge Lang e lo sconto è al massimo del 5% .

Se sei la Fnac o una libreria piccolissima, avete le stesse opportunità. Noi siamo necessari non solo per la libertà di scelta nel mercato dei libri, ma anche come decoro della città, siamo avamposti di civiltà.

Come hai scelto il nome Fahrenheit 451?

Il romanzo racconta di una società dove è vietato leggere e all’epoca mi sembrava indicatissimo. Fare il libraio implica delle scelte, questa è una libreria che ha una personalità, credo molto legata anche alla mia maniera di vedere e di stare al mondo.

Nel romanzo di Bradbury i pompieri hanno il compito di appiccare incendi e bruciare le biblioteche, non c’era nome più adatto.

Cosa facevi prima di aprire la libreria?

Sono nata in Umbria, a Spello, in provincia di Perugia, le terre di Francesco, ma sono cresciuta a Roma. Ho studiato Storia dell’arte alla Sapienza, alcuni professori sono diventati miei clienti, tra gli altri Calvesi… ho fatto poi diversi lavoretti, ma niente di importante.

A giugno del 1989 ho aperto la libreria, pochissimi libri, mi ricordo che come arrivava la sosta pranzo correvo dal distributore che stava a Monteverde a comprare subito libri perché se no avevo i buchi e li dovevo riempire e man mano ho creato il catalogo e ho imparato il mestiere.

Io mi definisco operaia della cultura perché lavoro proprio con fatica, è un lavoro faticoso ma nello stesso tempo è un lavoro che non ti stanca mai, hai sempre da imparare, è affascinante.

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