Caro Nanni,

la crisi del cinema in sala non deriva tanto dalla bruttezza e prevedibilità di tanti film e dall’esistenza di Netflix e simili, quanto dalla nascita di nuove forme della rappresentazione audiovisiva, che ha spostato il centro di quest’arte dal grande al piccolo schermo.

La visione di queste nuove opere audiovisive avviene nei televisori delle case e nei piccoli schermi per piccoli gruppi di spettatori – come ho visto fare nel Festival di Marsiglia già nel 1994, dove ho pubblicato ‘Le ceneri di Pasolini’.

Queste nuove opere sono realizzate – questo è il punto – con un linguaggio nuovo, caratterizzato dalla fusione di oggettivo e soggettivo, persona e personaggio, ritratto e autoritratto, film e documentario, una sorta di ‘cinema cappuccino’ – «che non sai dove finisce il latte e comincia il caffè» (Zavattini).

Un linguaggio vissuto da molti spettatori nella loro vita quotidiana, un linguaggio che riprende e sviluppa il meglio del neorealismo italiano, con le sue agili cineprese, gli attori di strada, le strade vere, i suoi nuovi orizzonti intellettuali e morali.

Ma questa novità la maggioranza degli autori, produttori, distributori, esercenti, direttori dei festival, giornalisti, critici, non l’hanno compresa, e sognano e fanno il vecchio cinema per un pubblico di massa.

Ma allora, starai pensando tu, perché mi hai scritto qualche giorno fa e mi hai chiesto di proiettare sul grande schermo del Sacher il tuo documentario-film ‘Buster Keaton Autoritratto’? Proprio perché, Nanni, questo documentario-film è pensato e fatto per il grande schermo per motivi filologici: è composto di sequenze dei film realizzati da Buster per il grande schermo e un pubblico di massa, e le musiche sono le musiche per piano che si suonavano in quelle sale alla proiezione di quei film.

La sala e il grande schermo resteranno, e svolgeranno una funzione particolare, non egemonica.

Per i piccoli schermi si svilupperanno nuovi linguaggi audiovisivi, come già sta accadendo da decenni con le serie televisive, e con il ‘cinema cappuccino’ – che secondo me è il meglio del ‘cinema fuorinorma’ che Aprà sta diffondendo in Italia con la collaborazione di pochi esercenti, pochi giornalisti, pochi critici.

Per tornare a pensare al cinema in grande, Nanni, bisogna pensarlo nella sua radicale novità. Bisogna fare come Ingrid Bergman.