«La fuga in Egitto in barca» è un dipinto di Tiepolo, realizzato a olio su tela è una variazione del tema della fuga compiuta dalla Sacra Famiglia. Non compare il consueto asinello ma una barca, sulla quale si trovano Giuseppe, Maria e Gesù, guidata con tocchi delicati dagli angeli. Allo stesso modo, la variazione, nel progetto drammaturgico di Turi Zinna Una fuga in Egitto che ha aperto la rassegna Acrobati(che) Poeti(che), a cura di Alceste Ferrari, presso Santa Maria della Pietà a Cremona, sembra essere il vero soggetto. Nel foyer entra un vapore che proviene dalla sala, due figure in tuta da lavoro ci conducono ai nostri posti, e ci allacciano i caschi. Si parte. Tramite i visori di realtà virtuale, il pubblico (in dieci, quindici al massimo) percepisce di essere all’interno e di essere parte dello stesso ambiente nel quale agiscono i personaggi. Figure simili a spettri, tableau vivant, «dentro la scatola». È cinema immersivo tridimensionale, arte visiva digitale, musica elettronica e tecnica teatrale, grazie anche a un cast solido di eccellenti attori: Barbara Giordano nel ruolo di Maria, Marcello Montalto di Giuseppe, Chiaraluce Fiorito e Giovanni Arezzo rispettivamente nel ruolo dell’angelo nero e bianco, e Valentina Ferrante nel ruolo di Elisabetta.

LA DRAMMATURGIA, è densa e spregiudicata, la riscrittura della vicenda, a opera di Turi Zinna, Lina Prosa e Tino Caspanello, è intelligente ed efficace. Assistiamo a una processione di quadri: Maria, elaborata in modo notevole da Lina Prosa, da quando inizia a riflettere non ha più le mestruazioni, e cova in sé un pensiero rivoluzionario; poi, annuncia questa sua Immacolata Concezione a un angelo divenuto ateo. Giuseppe, pavido e pusillanime, è incline a divorziare. Il Tempio, la Sorgente, il Codice di tutte le cose visibili e invisibili, è pronto a fare stragi. Maria e Giuseppe sono di volta in volta due barboni in una discarica, due borghesi in cucina, seduti a tavola, sempre accompagnati dagli scontri dell’angelo bianco – cattivo – e nero – buono –, oppure due migranti sul barcone ecc. Il ritmo è agile. Il Coro, affidato agli attori su palco, ci chiede dove siano finiti i corpi dei migranti, ci dice che si sono sfracellati sulla spiaggia.
Il ritmo viene dettato dalle interruzioni di uno sciopero femminista e operaio, che ci chiama a restare nel solco della storia. I temi sono il corpo, la sessualità, la maternità, l’aborto, le sfide del Movimento negli anni Settanta. La femmina identificata con la procreazione, il confinamento della donna nel ruolo biologico di madre, la sottomissione e la dedizione all’uomo.

Il ritmo viene dettato dalle interruzioni di uno sciopero femminista e operaio, che ci chiama a restare nel solco della storia.

«Dico no al sistema del tempio. Aiutami a distruggere il tempio». Ma, per Giuseppe, la pace è uguale all’ordine: «Il tempio ci ascolta». «Chissà se Giuseppe abbia un cuore, o abbia solo un membro», si chiede Maria. Nelle scene nel visore compaiono delle bambine, e la visita alla cugina Elisabetta. Dicono, «fuggiamo, andiamo via». Giuseppe è tutti gli uomini. «Sono io che ti do il pane», dice. «Ma senza più pane, cosa farai per me? Comincia a costruire una barca, che sia azzurra», gli risponde Maria. Tutto può ancora salvarsi, «svégliati Giuseppe!».

IL REGISTA ci spiega come lo spettacolo rompa la struttura linguistica dello strumento: «la tecnologia Oculus prevede un ambiente di creazione e fruizione di contenuti che non consente di passare liberamente tra la modalità passthrough e la visione 3d immersiva. Inoltre, la modalità passthrough non permetterebbe l’inserimento di contenuti virtuali, e infine, il coordinamento di più visori non è previsto, e così abbiamo inventato un sistema di coordinamento che non esisteva». «L’immagine, domani, sarà la memoria dentro di noi», recita l’angelo nero: uno dei migliori spettacoli in cartellone in questo periodo.