Per lo scivolone della maggioranza sul DEF i commenti vanno dalla sciatteria alla presunzione, passando per il pressapochismo. Giusto. Ma la vicenda suggerisce il diverso problema di una coalizione unita dall’attaccamento alle poltrone piuttosto che dalla condivisione di progetti politici e di obiettivi.

L’avevamo sospettato, osservando che sull’autonomia differenziata Calderoli sembra avere un indirizzo di governo tutto suo. Il 23 marzo – subito dopo la firma di Mattarella – presenta al Senato il suo disegno di legge sull’attuazione dell’art. 116.3 della Costituzione (AS 615). C’è la sola sua firma, laddove ci si poteva aspettare anche quella di Meloni e magari di qualche altro ministro. La fretta fa pensare che altre firme non le ha chieste, o comunque sapeva che non sarebbero arrivate.

Successivamente mette in vetrina il CLEP (comitato presieduto da Cassese), e fa uscire un elenco di oltre 500 funzioni statali nelle materie suscettibili di autonomia differenziata. Cogliamo poi dalla stampa di un’indagine verso altri ministeri, presumiamo per chiedere quali funzioni tra le 500 siano disposti a cedere. E qui un dubbio viene. Chi chiede cosa a chi? Chi risponde, a quale titolo, a quale livello di responsabilità?

Pare di capire, ad esempio, che per il Ministero dell’Istruzione i docenti della scuola devono rimanere in ruolo statale. Bene. Ma sappiamo se qualcuno ha interrogato il ministero delle infrastrutture sulla possibilità di cedere porti, aeroporti, ferrovie e autostrade? E, nel caso, se e quale risposta sia stata data? Sulle funzioni cedibili sarebbe stata utile non una indagine motu proprio, ma una valutazione comune con i colleghi ministri interessati, in Consiglio dei ministri o in qualsiasi altra forma. Ma se ci fosse stata, la domanda all’Istruzione non sarebbe stata nemmeno posta.

Infine, Calderoli mette in circolazione uno studio su vari stati a impianto federale o autonomistico, in cui la Spagna viene definita un modello di particolare interesse, perché simile al modello italiano. E le somiglianze ci sono. Si dimentica però la drammatica esperienza del fallito tentativo della secessione catalana, cui non pare dubbio che proprio l’assetto autonomistico abbia aperto la strada.

È un curioso paradosso. Dell’autonomia si parla poco o nulla sui media e in parlamento, e la pubblica opinione in larga parte ignora cosa sia. Eppure, Calderoli accelera. Chi spinge? Forse il mondo delle imprese? No, e l’ha detto Bonomi per Confindustria, perché all’impresa non conviene una selva di regole differenziate territorialmente. Forse il sindacato? No, perché è a rischio il contratto nazionale, suo principale strumento di azione. Le professioni? No, e la più forte categoria – i medici – è pronta a dare battaglia. Forse il pubblico impiego? No, e anche qui la più forte categoria – la scuola – è in armi. La UE? No, anzi scommette sulla coesione territoriale. La grande finanza internazionale? No, e da ultimo una delle principali agenzie di rating esprime sull’autonomia differenziata una valutazione a dir poco perplessa.

Allora chi? Viene il dubbio che l’autonomia differenziata sia una voglia di ceto politico. Ma quale? Certo non quello nazionale, visto che parlamento e governo ne verrebbero largamente svuotati di risorse, potere e funzioni. E nemmeno quello locale, che teme il neocentralismo regionale. Rimane solo il ceto politico regionale. La spinta viene da lì.
Dalla riforma del Titolo V del 2001 il livello regionale è diventato il pezzo forte nel sistema politico italiano, mentre il livello nazionale si è progressivamente indebolito, per l’evanescenza dei partiti, le pessime leggi elettorali e da ultimo il taglio dei parlamentari. Ora il ceto politico regionale vuole crescere, e con l’autonomia differenziata punta a maggiori risorse e poteri. Qualcuno riuscirà a mettere le mani nella cassa comune prima che diventi incapiente, tutti potranno puntare a maggiori poteri. Quel che sarà l’Italia nuova si vedrà poi.

Questo il disegno del callido Calderoli caterpillar, che non a caso nel suo modello emargina parlamento e autonomie locali. Bisogna contrastarlo, qui e ora, portando il dibattito nell’aula parlamentare in cui ognuno assuma in chiaro le sue responsabilità di fronte al paese. Chi è d’accordo ha ancora pochi giorni per firmare online con lo SPID la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per la modifica degli articoli 116.3 e 117, che si trova su www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it.