«Una farsa le celebrazioni di Orbán, Imre Nagy riabilitato già nel 1989»
Intervista a Júlia Vásárhelyi «Dopo l’insurrezione molti ungheresi hanno trovato rifugio all’estero. Oggi il governo vuole chiudere le frontiere nazionali di fronte a gente che fugge dalla guerra»
Intervista a Júlia Vásárhelyi «Dopo l’insurrezione molti ungheresi hanno trovato rifugio all’estero. Oggi il governo vuole chiudere le frontiere nazionali di fronte a gente che fugge dalla guerra»
Giornalista e scrittrice, Júlia Vásárhelyi, è figlia di Miklós Vásárhelyi, capo ufficio stampa del governo di Imre Nagy nel 1956, condannato a 5 anni di reclusione, poi amnistiato. Critica verso il governo guidato da Viktor Orbán, è autrice, insieme a Bálint Magyar, uomo politico dell’opposizione, di Magyar polip – A posztkommunista maffiaállam (La piovra ungherese – Lo stato-mafia postcomunista).
Il sessantesimo anniversario dell’insurrezione del 1956 avverrà in un clima di tensione, un po’ come dieci anni fa.
Nel 2006 hanno avuto luogo disordini e manifestazioni di protesta contro il governo, senza che si parlasse del ’56. L’anniversario è stato solo un pretesto. Oggi le tensioni sono causate dall’autoritarismo di Viktor Orbán, dai fatti di questi ultimi anni: la corruzione al governo, lo stato-mafia, come noi chiamiamo il sistema creato da Orbán e dai suoi collaboratori. Questi ultimi stanno cercando di cancellare la memoria dei protagonisti del ‘56, cioè Imre Nagy, Miklós Gimes, Pál Maléter. Per il Fidesz, la rivoluzione è stata opera di ragazzetti anticomunisti, e questa è una menzogna inaccettabile. L’esecutivo cerca di cancellare il ricordo dei comunisti riformisti che hanno fatto la rivoluzione e che sono stati al governo in quei giorni. Per queste commemorazioni discutibili, le autorità hanno speso circa 50 milioni di euro, una somma enorme. In più, di recente, c’è stata una seduta alla Corte Suprema ungherese per ridiscutere la riabilitazione dei dirigenti del governo di allora, condannati a morte o al carcere. Ho saputo della cosa per altre vie e sono andata alla seduta dove ho anche appreso che per la causa di mio padre era stato designato un legale. Ma la riabilitazione di Imre Nagy e dei suoi più stretti collaboratori era già avvenuta nel 1989. Con questa farsa il governo vuole attribuirsi il merito di tale gesto.
Un modo fuorviante di celebrare questa ricorrenza…
Viene esaltato il sacrificio dei giovani che allora combatterono nelle strade di Budapest. Certo, c’erano anche loro, ma stiamo parlando di ragazzi di 14-15 anni che non capivano realmente, fino in fondo, quello che stava succedendo e che non sono stati i protagonisti assoluti di quella vicenda. Gli studenti che protestavano e il gruppo di Imre Nagy sono stati l’anima della rivoluzione; il vero riferimento della maggior parte della gente era proprio Imre Nagy che fino all’ultimo si è dichiarato comunista. Con lui c’erano i comunisti riformisti, come mio padre, che non volevano il capitalismo, ma un cambiamento.
I giovani di oggi cosa sanno del ‘56?
Niente. Hanno altro per la testa. Tanti di loro, probabilmente 300.000 o anche di più, hanno recentemente lasciato il paese perché non vedono prospettive. Chi di loro sa chi erano Maléter, Gimes, Vásárhelyi? Invece i giovani che restano sono esposti alle manipolazioni del governo e non parlano, non denunciano le sue menzogne. Di recente c’è stata una conferenza all’Associazione István Bibó (ministro nel governo Nagy ndr) sul ruolo degli intellettuali nel 1956. Non c’erano giovani, c’eravamo solo noi che siamo gli unici a raccogliere questa eredità.
Dopo l’insurrezione molti ungheresi hanno trovato rifugio all’estero. Oggi il governo vuole chiudere le frontiere nazionali di fronte a gente che fugge dalla guerra.
È una cosa vergognosa e crudele. Più volte ho avuto modo di incontrare queste persone; per esempio l’anno scorso alla stazione Keleti, dove ho portato loro cibo e coperte, e di recente al campo profughi di Röszke. Orbán dice di voler difendere l’Europa da questi migranti che minacciano di cancellare la nostra identità cristiana. Se qualcuno bussa alla mia porta perché fugge dalla guerra e non ha da mangiare, io lo accolgo, cerco di salvarlo e solo poi mi pongo il problema della sua sistemazione.
Molti anni fa, suo padre mi disse «l’Ungheria di oggi non è il paese che sognavamo nel 1956».
Lui e mia madre sono sempre stati di sinistra. Del cambiamento di regime apprezzavano la libertà di stampa, il multipartitismo, ma si rendevano conto delle iniquità sociali causate dal nuovo sistema economico che si è affermato nel paese dopo il 1989. Molti hanno perso il lavoro a causa delle leggi del capitalismo. Poi sono iniziati gli attacchi del primo governo Orbán contro la sinistra, contro tutti quelli che avevano avuto un ruolo importante nel 1956 e nella svolta dell’89. Io e mio padre abbiamo partecipato alla fondazione dell’Szdsz, L’Alleanza dei Liberi Democratici, impegnata nella difesa dei diritti umani. Orbán ci ha definiti traditori della patria perché abbiamo rilasciato interviste a giornalisti stranieri sulla situazione ungherese come sto facendo ora con lei. Sa, mio padre, che è scomparso nel 2001, era molto deluso e amareggiato per tutto questo, per come è diventato il nostro paese.
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