Una «educazione sentimentale» intorno al patrimonio culturale
Cultura

Una «educazione sentimentale» intorno al patrimonio culturale

SCAFFALE «Se amore guarda», di Tomaso Montanari per Einaudi
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 6 ottobre 2023

L’ultimo pamphlet di Tomaso Montanari (Se amore guarda, Einaudi, pp. 105, euro 13) si colloca con perentoria mitezza dentro il perimetro di una tradizione nobile: quella di una saggistica civile che, sorretta da un’appassionata urgenza politica e morale, non teme di avventurarsi fuori dal recinto degli specialismi, senza smarrire peraltro il contatto con un preciso orizzonte disciplinare.

IL TEMA È DEI PIÙ COMPLESSI. Si tratta del rapporto che la collettività instaura col proprio patrimonio culturale. La tenuta di questa sempre più labile connessione fra il «popolo» e le sue «pietre» viene verificata dall’autore alla luce di alcune categorie chiave della contemporaneità: «conflitto», «identità», «corpo», «perdita e cura», la marginalità dei «senza storia».
Il patrimonio culturale è «la nostra religione civile, la nostra scuola di liberazione, l’espressione concreta e stratificata della fraternità dell’uomo con la natura e degli umani tra loro». Ma la mossa cognitiva più spiazzante, che strania l’oggetto del discorso, scaturisce da un ribaltamento di prospettiva, che ci pone non tanto davanti all’immagine, ma piuttosto dentro il suo «sguardo».
Più che l’opera, vediamo infatti lo spettatore che la contempla. Benjamin aveva dato a tutto ciò il nome di «aura»: «Ma nello sguardo è implicita l’attesa di essere ricambiato da ciò a cui si offre». E dunque: «Avvertire l’aura di una cosa significa dotarla della capacità di guardare». Montanari recupera in questo senso uno spunto di Carlo Levi: «Ma Levi capovolge la camera, e inquadra chi guarda: gli occhi di chi guarda. Il patrimonio culturale non è fatto solo di quelle «cose» magnifiche, ma degli sguardi che per secoli, o per millenni, le hanno trasformate in sentimenti, e in linguaggio». In quest’istante abbiamo la sensazione che l’opera ricambi il nostro sguardo.

Come nei versi finali di una poesia di Rilke dedicata al torso di Apollo: «perché là non c’è punto che non veda / te, la tua vita. Tu devi mutarla». L’opera esige un’incarnazione nello spettatore. Sempre da Levi viene citata la frase che funge da titolo del libro: «Se gli occhi guardano con amore, se amore guarda, essi vedono». La stessa citazione si stagliava in esergo nel libro del 2019 L’ora d’arte. Un’ulteriore testimonianza di quanto si radichi in profondità l’urgenza di questo invito a una «educazione sentimentale al patrimonio culturale». E proprio in L’ora d’arte una lucida e innamorata scheda su Donatello e il suo Cristo che risorge introduceva il nesso cruciale fra arte e fragilità.

NEI RILIEVI della Basilica fiorentina di San Lorenzo Donatello ci mostra un Gesù che è vero uomo, «fragile e umanissimo». Per lui morire e risorgere comportano una «fatica terribile». In questa lettura risuonano temi che saranno poi toccati in Se amore guarda: dal rapporto fra arte e corpo, al senso del limite che deve guidare le scelte politiche contro ogni delirio di onnipotenza. L’arte ci ricorda che siamo fragili ed effimeri. Ma al tempo stesso, con un doppio movimento, dall’alto verso il basso e viceversa, pretende il massimo della posta: d’incarnarsi in noi. Con questa riproposizione sottotraccia dello «svuotamento» paolino ci troviamo dunque nel cuore di nodi che implicano questioni anche religiose.
Franco Fortini alla fine anni ’40 aveva scritto: «L’incosciente volontà di gioia di Leopardi, esige l’incarnazione dentro gli uomini e nel mondo». E ancora che la poesia «non chiede altro che di morire in noi, di diventare noi stessi». Ma tutto questo non si ottiene in modo irenico, senza lotta e senza «fatica». Ecco il senso profondo di quanto scrive Montanari sul patrimonio culturale e sulla «forza di liberazione con cui apre i nostri occhi e il nostro cuore a una dimensione ’altra’». Si tratta di agire con coraggio il conflitto, strappando al potere i suoi simboli, e dando ad essi nuovi significati. Così fece il popolo fiorentino ai tempi della rivoluzione contro la tirannia dei Medici, sul finire del ’400. Allora, ci racconta Montanari, si riuscì a «conquistare» la Giuditta di Donatello, facendola traslocare dal centro del giardino di Palazzo Medici al centro di quello «straordinario giardino civile che oggi chiamiamo Piazza della Signoria».

E QUI ANCORA RESISTE, in compagnia di chi sa rivolgerle sguardi sentimentalmente educati, mentre è costretta a condurre altre lotte contro lo scialo onnipotente e idolatrico dei brand del lusso e del consumo. «Una cattedrale abbandonata è un giudizio pronunciato su di un popolo». L’adagio di Fortini, caustico e lungimirante, ci pare un perfetto viatico al petit livre di Montanari. Il nostro patrimonio ci guarda. Ed è la raggiunta coscienza della forza di questo sguardo, che non smette di soppesarci, a costituire infine il nocciolo più nutriente di Se amore guarda.

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