Mio padre la rivoluzione di Davide Orecchio (minimum fax, pp. 314, euro 18), senza segni d’interpunzione: una doppia genealogia, nella quale i due corni si ripiegano l’uno sull’altro. La rivoluzione è quella del 1917, della quale siamo figli tutti noi. Ma l’autore è anche figlio di un padre, come tutti noi che abbiamo un padre biologico, ma abbiamo anche padri elettivi o inventati.

IL RAPPORTO col padre è complicato tanto quanto quello con la rivoluzione: talmente complesso da non riuscire a risolverlo in una lettera al padre, e di doverci scrivere un libro per spiegare perché non si è scritta quella lettera, e di spiegare il perché no di quella lettera con altre lettere – come quella di Victor Serge a Togliatti per denunciare l’infamia della carcerazione dei rivoluzionari in Russia (alla quale Togliatti risponde con un infame «non è compito mio»).

E COMPLICATO è il rapporto con la Rivoluzione, con la moltiplicazione dei piani che ruotano attorno all’interrogativo sull’uso della violenza per creare una società senza violenza, sull’uso del terrore (il terrore della guerra rivoluzionaria è già quello staliniano, o no? può esserci rivoluzione senza terrore?), sulle alternative mancate, sulla figura di Lenin e l’ombra di Stalin. E l’ombra del padre dell’autore, nato nel fascismo e approdato durante la guerra, dopo il viaggio attraverso il fascismo, al comunismo. Così, l’unico modo per narrare ciò che non può essere scritto in una sola lettera è moltiplicare i piani, trasformare la Storia in una molteplicità di ucronie.

IN UN DIVERSO TEMPO, Trockij sopravvive all’attentato e nel 1956 assiste alla rivoluzione ungherese; in un altro, Stalin è il robot positronico Koba, che Lenin costruisce per i figli della rivoluzione in attesa dell’avvento dell’uomo nuovo e che infrange la prima legge della robotica; in un altro ancora, grazie alla rivoluzione tedesca del ’21 Berlino divenne sovietica, e nello sprawl tra Berlino e Mosca la presidente della repubblica socialista Rosa Luxemburg può scrivere una lettera ai cittadini sovietici che si sentono «moderatamente felici, ossia quanto basta felici, cioè com’è giusto che sia». Ma in un altro ancora apprendiamo dell’avvento, nello sprawl tra Mosca e Berlino, del Führer Iosif Adolf Vissarionovic, chaotic evil astuto e concettoso. E ci sono altri piani attraversati da eventi talmente reali da sembrare inventati: come il poetico reportage dalla Russia che Gianni Rodari scrisse nel 1969, per il centenario di Lenin; e la biografia del partigiano Kim, cioè Ivar Oddone, che il suo amico Calvino narrò nel Sentiero dei nidi di ragno: passò una vita intera a combattere da partigiano e da medico contro la «monetizzazione del rischio» in fabbrica – e anche questo è ottobre ’17.

ROMANZO IN FORMA di racconti, il libro di Orecchio ripete a ogni pagina che ciò su cui non si può tacere, si deve narrare. E narrando se stesso, ci dà le chiavi, o almeno alcune, per aprire le porte di una Rivoluzione che non è passata perché sta ancora passando. La prima, fra le molte, è quella che tiene insieme il discorso del padre e quello della rivoluzione: «Contro nessuno», dove Odisseo, il padre dall’ingombrante eredità, torna a Itaca per compiere la sua vendetta contro i Proci – per esercitare la legittima violenza contro loro e le ancelle fedifraghe – e si confronta con il figlio Telemaco che ne ha ereditato la biblioteca. Gli racconta di una società senza socialismo di Stato e senza pianificazione, senza mercato e senza capitalismo: ma può esistere un uomo nuovo all’ombra del ritorno del padre, può esistere un tempo a-venire che non si liberi dal ritorno dell’uguale?

LA SECONDA CHIAVE, fra le altre, «Cast», non a caso al centro del libro, è una straordinaria sarabanda di voci, testimonianze, fonti storiche che leggono la Rivoluzione, e il loro turbinìo sta a dirci che la rivoluzione la leggiamo sempre dal presente in cui siamo.
«Se e quando tornerà un clima oggi inimmaginabile di rivoluzione, i giovani uomini e le giovani donne leggeranno e comprenderanno Trockij e Deutscher in un modo che a noi non è più consentito».