Non c’è solo il giallo ocra o il grigio basalto, nel corso della giornata la luce tinge la roccia di rosa e rosso. Nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, ad AlUla, la bellezza mozzafiato della sua natura incontaminata è incapsulata nella sospensione temporale.

NEI MILLENNI IL VENTO, la sabbia e l’acqua hanno modellato i suoi monumenti più maestosi, tra cui le Rocce Danzanti (Raqasat) con il Jabal Al Rukkab; Jabal AlFil (Elephant Rock) e Jabal Al-Aq (detto anche Maqrat Al-Dubs o The Arch) fino al campo vulcanico di Harat Uwayrid con i suoi coni di tufo e le distese di lava.
Luoghi remoti che solo di recente sono diventate mete accessibili, tutelate dalla Royal Commission for AlUla che promuove la conoscenza del patrimonio culturale e paesaggistico dell’area anche attraverso la realizzazione di eventi culturali internazionali.
Proprio in concomitanza della II edizione di DesertX AlUla, tra febbraio e marzo di quest’anno, nel villaggio AlJadidah si è svolto il festival fotografico Cortona On The Move AlUla (a cura di Arianna Rinaldo e Kholood AlBakr), in collaborazione con Arts AlUla, con la residenza d’artista di fotografi sauditi (Hussain AlSumayen, Huda Beydoun, Hayat Osamah) e internazionali (Martin Kollár, Eleonora Paciullo, Awoiska van der Molen) i cui lavori sono ora esposti a Palazzo Baldelli nell’ambito di Cortona On the Move 2022 (fino al 2 ottobre).

NELLO SGUARDO di questi autori non è difficile cogliere un senso di meraviglia che coniuga una riflessione profonda sui diversi aspetti legati al rapporto uomo/natura, in linea con il titolo Me, Myself and Eye della XII edizione del festival di fotografia documentaria. Con la neo-direzione artistica di Paolo Woods affiancato da Veronica Nicolardi, collaboratrice storica e direttrice del festival, Cortona On the Move ha ospitato tra gli eventi delle giornate inaugurali anche il talk Photography as a platform for cultural exchange con Omar AlBraik della Royal Commission for AlUla e due fotografi sauditi, Huda Beydoun (Jeddah 1988) e Hussain AlSumayen (Dammam 1992).

Dalla serie A Disparate Familiar, 2022 © Huda Beydoun

PER ENTRAMBI, la residenza ad AlUla ha rappresentato un’esperienza nuova, sia dal punto di vista personale nel visitare un luogo sconosciuto, che professionale nel trarre ispirazione dal paesaggio che ciascuno ha introiettato, elaborando nuove sperimentazioni. Wrinkles è la serie realizzata da AlSumayen che mostra su un doppio binario la natura e il dettaglio degli occhi di quegli stessi uomini che si muovono all’interno del paesaggio.
Nella naturalezza dei personaggi che entrano nel panorama è evidente una relazione intima in cui si coglie l’armonia ma anche una certa sfida. Le giornate non sono mai uguali e ripetibili, proprio come le sfumature cromatiche del paesaggio mutevole. «Il sentimento che ho provato al cospetto di quel paesaggio è stato di solitudine», afferma Hussain AlSumayen.

NON È IL MISTERO o quel quid d’inafferrabile a destare l’interesse del fotografo; piuttosto, è la sensazione di solitudine che egli associa anche a un’idea di futuro. Per Huda Beydoun, invece, si è trattato di creare un micro universo che presenta diversi livelli. A Disparate Familiar è la rappresentazione di una visione che mette insieme elementi che lasciano un margine di ambiguità: provengono dalla combinazione sia del background dell’artista visiva (pittrice e fotografa, a Parigi ha studiato con Paolo Roversi, tornata a Jeddah lavora attualmente anche nel settore della moda), che da quelli colti durante l’esperienza di artista in residenza.
«I colori che ho trovato ad AlUla erano quelli della sabbia del deserto e delle montagne. Colori tendenti al monocromo molto diversi dalla palette che solitamente utilizzo nelle mie opere – afferma Huda Beydoun – Ho giocato digitalmente mettendo a confronto la naturalezza del paesaggio con i tessuti colorati che avevo portato con me, a cui se ne è aggiunto uno locale acquistato in un negozio del villaggio».
Senza dichiararne l’identità, le sue immagini raccontano frammenti che appartengono alla quotidianità delle donne che l’artista ha incontrato frequentando la scuola di artigianato femminile Madrasat AdDeera, dove la formazione è volta a professioni creative dal tessile alla ceramica.

«IN QUELLA REGIONE molto tradizionale – spiega – per la prima volta le donne hanno la possibilità di uscire di casa per affermare la propria autonomia. Tutte insieme sono diventate come una famiglia. Ogni giorno mi sono seduta con loro e abbiamo parlato». Un dialogo che lascia intuire una «diversa familiarità» proprio attraverso la giustapposizione delle immagini del paesaggio montuoso (che Beydoun definisce «molto rigido») con quelle dei tessuti che si aprono a suggestioni di leggerezza e libertà.