Una convenienza «sconvolgente»
Italia I risultati finora inediti di uno studio commissionato nel 2013 dall’allora governo Monti. La proibizione della cannabis implica un costo fiscale di circa 38 miliardi, a fonte di 15 per la cocaina e di 6 per la cocaina
Italia I risultati finora inediti di uno studio commissionato nel 2013 dall’allora governo Monti. La proibizione della cannabis implica un costo fiscale di circa 38 miliardi, a fonte di 15 per la cocaina e di 6 per la cocaina
Il governo di Mario Monti studiò il possibile impatto sulle nostre finanze pubbliche della legalizzazione delle droghe leggere e della prostituzione. Erano i suoi ultimi mesi di vita, culminati col varo della Legge di Stabilità 2013 con tagli alle pensioni, introduzione dell’Imu sulla prima casa e aumento dell’Iva. Poco prima era stata la volta del decreto «crescItalia», intervenuto in diversi ambiti (commercio, professioni, trasporti, benzinai, farmacie) sul tema delle liberalizzazioni. Per far quadrare i conti, si ragionava di conseguenza sui numeri e nemmeno a costo zero visto che quel governo tecnico, il secondo nella storia repubblicana dopo quello Dini (1996), provocherà la più consistente crescita mensile del debito pubblico degli ultimi 15 anni: 15,4 miliardi (998 euro a residente, neonati compresi).
La legalizzazione delle droghe leggere venne così presa in rapida considerazione nell’estate del 2012, quando nei corridoi di Palazzo Chigi iniziarono a girare stime e report su come ridurre l’enorme debito pubblico italiano. Tra i calcoli, anche l’onere per l’erario del mercato illecito degli stupefacenti: «La proibizione della cannabis implica un costo fiscale di circa 38 miliardi di euro, a fronte di 15 miliardi per la cocaina e di 6 per l’eroina». Regolamentare le droghe con la stessa procedura applicata al mercato dei tabacchi e degli alcolici, potrebbe viceversa generare introiti statali impressionanti. La completa legalizzazione, quindi la «tassazione della vendita di eroina, cocaina e cannabis, sulla base dei livelli di consumo di queste sostanze nel nostro Paese, porterebbe nelle casse dello Stato 30 miliardi di euro l’anno», si legge in uno di questi report. Una montagna di quattrini, equivalente per intenderci al valore dell’intera manovra finanziaria varata da Monti. In cinque decenni, potrebbe azzerare l’intero debito pubblico italiano, da tempo vicino ai 2.000 miliardi di euro (circa il 127% del Pil). Con la legalizzazione della sola cannabis, le cosiddette droghe leggere (marijuana e hashish), «applicando la stessa normativa fiscale del mercato dei tabacchi e delle bevande alcoliche, l’erario nazionale incasserebbe circa 8 miliardi l’anno dalla tassazione sulle vendite». Non per niente il consumo di stupefacenti nel nostro Paese è superiore alla media europea: primi nel Vecchio continente per la cannabis (4 milioni di persone ne fanno uso quotidianamente), terzi per la cocaina (nell’ultimo mese 4,1 milioni), mentre non desta allarme l’uso di quelle sintetiche.
C’è poi la pesante aliquota applicata alle sigarette, superiore al 75%, che genera notevoli introiti con l’obiettivo dichiarato di scoraggiarne la vendita e ridurne il consumo. Le entrate statali sono tuttavia sottostimate. All’appello manca l’impatto economico sulle politiche educative, sanitarie e legate al crimine indotto dal proibizionismo, come anche la tassazione del reddito dei venditori delle sostanze psicotrope. Per farsi un’idea del suo valore, basta ricordare che le droghe sono la benzina che fa muovere la criminalità organizzata: soltanto le narcomafie italiane incassano da questo business illecito circa 60 miliardi di euro l’anno. Legalizzarle sarebbe di conseguenza l’unico modo per non far finire questo fiume di denaro nelle mani della malavita. Altra voce di riasparmio indiretta, i notevoli costi dell’apparato repressivo (forze dell’ordine, magistratura e istituti penitenziari) per la «guerra alla droga». Anche in questo caso, si tratta di una cifra enorme: «L’applicazione della legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti costa all’incirca 2 miliardi l’anno».
Numeri del tutto in linea con quelli riportati nello studio «Il costo fiscale del proibizionismo: una simulazione contabile», realizzato per l’Università degli Studi La Sapienza di Roma dal ricercatore Marco Rossi nel settembre 2009. Per calcolare i benefici economici della legalizzazione, esistono del resto rodati metodi internazionali. Anche volendo, questa strada allora non era però percorribile, poiché già allora, il governo Monti, aveva infatti i giorni contati. Lo ricordò il ministro per la Cooperazione Internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi: «È un problema da discutere in tempi lunghi che non può realizzarsi nel breve periodo di governo che mi è stato affidato». Nel governo Monti, il primo delle larghe intese, il centrodestra aveva inoltre ancora piena maggioranza alle Camere. E stiamo parlando dello stesso schieramento politico che in sede europea contrastò la riduzione del danno della Strategia sulle droghe dell’Ue 2005-2012, pretendendo di imporre agli altri Paesi europei quali interventi attuare in materia. Sempre il governo Berlusconi, in questo caso il terzo, è inoltre responsabile di aver approvato nel 2006 l’attuale legge sulle droghe, la più repressiva d’Europa, dentro un maxi-emendamento al decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino votato a Camere sciolte e con doppio voto di fiducia. Gli effetti della norma si vedono soprattutto nel sovraffollamento degli istituti penitenziari: la metà dei nostri 66mila detenuti sono infatti tossicodipendenti, consumatori o piccoli spacciatori. Per superarla, in Parlamento sono stati presentati diversi disegni di legge che ripristinano la differenziazione tra droghe leggere e pesanti. Quello del Movimento 5 Stelle renderebbe inoltre «non punibile la coltivazione di massimo quattro piante di cannabis indica», previo «pagamento di una tassa di concessione governativa», consentendo inoltre «la cessione a titolo gratuito di una quantità di massimo 5 grammi di sostanza per uso personale».
Altro ddl simile, quello depositato lo scorso 7 gennaio dal senatore Luigi Manconi (Pd), presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. A favore della legalizzazione anche il segretario di Sel, Nichi Vendola, contrario quello del Partito democratico, Matteo Renzi, che definisce «schizofrenico un Paese in cui si passa dal proibizionismo più totale alla liberalizzazione delle droghe leggere. Iniziamo a cambiare la Fini-Giovanardi, che è una leggiaccia, per rimettere la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e mettiamo in prova chi è stato arrestato per detenzione di droghe leggere».
Ma cosa pensano gli italiani della legalizzazione della legalizzazione delle droghe leggere? Secondo un sondaggio condotto a gennaio 2014 da Swg, la maggioranza dei nostri concittadini sarebbero favorevoli. Soltanto il 37% della popolazione ritiene che il consumo di cannabis debba continuare ad essere punito come il consumo di droghe pesanti.
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