«Pensa a vivere la tua vita. Trovati un uomo, un uomo qualunque, e sposalo, fai figli. Sono la cosa più importante. Per essere felice e dare un senso alla tua vita. I figli sono la gioia della vita di una donna. Non gli uomini. Non il matrimonio. Non i soldi. I figli!». Così esorta la madre di una delle due protagoniste di Due vite, due donne, opera prima della nigeriana Cheluchi Onyemelukwe Onuobia (traduzione di Elisa Banfi, edizioni e/o, pp. 285, euro 19,00), echeggiando la voce di una società, un paese e un intero continente che, nonostante la rapida sferzata verso la modernità, conferisce ancora un valore supremo e insostituibile alla maternità.

IL ROMANZO SI APRE nel 2011, in una angusta cella di detenzione, dove le due donne del titolo sono state insieme recluse dopo un rapimento, piaga sociale assai diffusa in Nigeria, e da qui, nelle lunghe ore trascorse nello spazio ristretto in cui si ritrovano loro malgrado fianco a fianco, Nwabulu e Julie iniziano a raccontarsi le loro diversissime vite. Le due ripercorrono i precedenti cinquant’anni di storie individuali e collettive sullo sfondo di una neonata nazione che dagli anni Sessanta del secolo scorso ha attraversato colpi di stato, governi militari, regimi dittatoriali e guerre civili, ha sostituito le religioni tradizionali con il cristianesimo imposto dal colonialismo, ha raggiunto traguardi inimmaginabili nella tecnologia, nella moda, nella musica e nel commercio, ma si rifiuta ancora di considerare una donna nella sua interezza, se non dopo che questa abbia messo al mondo almeno un figlio.

NWABULU, nata in un poverissimo villaggio e rimasta orfana, subisce maltrattamenti e umiliazioni, dapprima dalla matrigna che la vede solo come inutile bocca in più da sfamare, e poi presso le famiglie in cui viene mandata come domestica a Lagos e a Enugu, in continua contrapposizione tra desiderio di emanciparsi e istruirsi, impegnandosi e lavorando sodo, e l’ineludibile fato di una ragazza nella sua condizione, vittima delle bramosie sessuali di uomini adulti falsamente benefattori e delle promesse di un giovane innamorato che la rinnega al sopraggiungere di una gravidanza. Con l’onta di un figlio prima del matrimonio e senza padre, rispedita al paese d’origine e socialmente marchiata, non le rimane altra possibilità che «sposare un morto» (pratica ancora anacronisticamente perpetuata dalle società rurali per garantire la discendenza di una famiglia che abbia perso prematuramente tutti i suoi figli maschi). Da qui muove verso una ricerca (anche interiore) di riscatto disseminata di ulteriori privazioni e sofferenze, trovando unica consolazione nell’attaccamento ai suoi libri e ora a quel seme di speranza che porta in grembo.

Cresciuta al contrario in una famiglia agiata di insegnanti convertiti al cattolicesimo e divenuti catechisti, Julie, indipendente, colta e a sua volta insegnante, si ritrova a trentaquattro anni a vivere sola ed essere l’amante, per scelta, di un ricco imprenditore sposato, padre di due figlie, determinato a sua volta ad avere da lei il figlio maschio che la prima moglie pare non essere in grado di dargli. Sulle macerie della spaventosa guerra del Biafra, che miete vittime nella sua famiglia e lascia solchi profondi nell’anima di un’intera nazione, anche Julie intraprende una sua battaglia per la maternità, lambendo a più riprese l’impronunciabile prospettiva della poligamia, che farà intersecare molti anni dopo la vita delle due protagoniste, con un inatteso colpo di scena.

NON SOLO DI DUE DONNE e di due vite narra dunque il romanzo, ma di quelle di tutte le donne del continente, ancora contese tra tradizione e modernità, tra desiderio di autoaffermazione e obbligo sociale di compiacere la comunità. In bilico tra pregiudizi e aspettative dure a morire da un lato, aspirazioni individuali dall’altro.

Impegnate in lotte quotidiane portate avanti spesso con il sostegno di altre donne e «sorelle» di sventura, queste eroine senza clamore danno fondo alle loro insite doti di resilienza, fisica e psicologica, fino a ricorrere, se necessario, ad una salvifica astuzia tutta femminile, perché, a detta di Nwabulu «chi scappa davanti a una pecora, scapperà anche davanti al leone».