Una collezione al centro di spregiudicati interessi che rischia solo la «passerella»
Collezione Torlonia, Louvre, foto di Agostino Osio – Copyright Fondazione Torlonia
Cultura

Una collezione al centro di spregiudicati interessi che rischia solo la «passerella»

Saggi Il libro di Margherita Corrado su Marmi Torlonia. Il Getty era «in affari» (sfumati), per trasferire parte della raccolta in California
Pubblicato 12 giorni faEdizione del 2 ottobre 2024

Aspettando la ricostituzione del Museo Torlonia (Scienze e Lettere, pp. 116, euro 15) è l’opportuna messa a fuoco di Margherita Corrado sulla vergogna nazionale riassunta dal sottotitolo: «Quando abbiamo rischiato che i marmi finissero al J. Paul Getty Museum e come sono scivolati nel turbine delle mostre-evento internazionali».

IL SAGGIO PARTE dall’esposizione inaugurata ai Musei Capitolini nel 2020, oggetto di due interrogazioni parlamentari avanzate dall’autrice, allora senatrice del M5S. Una sola ricevette una risposta: confusa e reticente. Corrado evidenzia quindi come lo Stato, in seguito all’accordo del marzo 2016, abbia progressivamente abbassato le pretese nei confronti del secondo contraente – la Fondazione Torlonia – fino a rinunciare negli anni della pandemia a quanto sancito dal nono articolo della Costituzione.

Difficile assumere che la strada presa vada nella direzione di un museo pubblico, se diamo credito agli avvenimenti del 2024: da un lato, dieci opere accostate a Roma in un’antica stalla privata, non meno indisponente delle sue barriere architettoniche e forse per questo visitata da pochissimi; dall’altro, un evento nel tempio del Louvre, illuminato dai riflettori olimpici.

Nel frattempo i cataloghi – sottolinea l’autrice – sono stati orientati soprattutto da una «spregiudicata operazione di social washing» e dalla volontà di promuovere i reperti semplicemente in quanto «belli», quasi dovessero partecipare a un talent show piuttosto che raccontare una storia: gli scavi di provenienza, i passaggi di proprietà, i pastiche che ne rendono complessa la lettura.

Eravamo fermi a Cederna che, ancora nel 1991, constatando come il demanio rinunciasse a reclamare quella che per tanti è la più notevole tra le collezioni che ci sono precluse, si rassegnava perché «siamo nel paese di Pinocchio». Ormai giaciamo nella pancia della balena e l’accademia archeologica ne è corresponsabile. Bianchi Bandinelli e Cederna, non per caso, erano delle autorità. Eppure Bianchi Bandinelli – magari perché dotato di senso dell’umorismo – avrebbe mentito nel dichiarare di essersi finto spazzino per trovare il modo di accedere al museo di via della Lungara; Cederna pare non avesse mai voluto o dovuto dire che Alessandro Torlonia smantellò quel museo per ricavarne novantatré miniappartamenti, tra il 1968 e il 1975. Pionieri della macchina del fango contro i Torlonia, insomma. Acqua passata, al limite.

Ciò che il libro di Corrado chiarisce risiede tuttavia altrove: nello sguardo puntato sui danni prodotti dalla connivenza tra un passato rimosso nel male e sminuito nel bene e un presente che si pone al di là dell’etica. Convergenze già saldatesi in un fatto senza la cui conoscenza nessun cittadino potrebbe pienamente esercitare la propria quota di opinione pubblica.

PRIMA DELL’ESPOSIZIONE del 2020 – conclusasi con una netta perdita per il pubblico in cambio di una massiccia ricaduta di immagine per la Fondazione – i Torlonia e il Getty Museum avevano trattato allo scopo di trasferire parte della raccolta in California. L’affare, svelato in Italia da Claudio Marincola, sarebbe sfumato perché acquirente e venditore, per risparmiare, avrebbero tagliato fuori i mediatori Ali e Hicham Aboutaam, che nel 2017 depositarono una querela presso il tribunale di New York pretendendo un risarcimento. Il punto è che questo fu quantificato: si chiedevano 77 milioni di dollari, pari al 22% del valore attribuito alle opere, che dunque erano state stimate.

PER CUI «L’ACCESSO ai locali di via della Lungara ospitanti i marmi Torlonia continuava, in quegli anni, ad essere impedito agli studiosi ma non a potenziali acquirenti e ai loro discutibili intermediari», rileva Corrado. L’indubbio merito della sua ricerca consiste nell’aver messo ordine in questa vicenda. Perché tutto quello che riguarda i Torlonia ha a che fare con il mistero. Una nebbia sporca che assolve un compito studiato: far sembrare tutto irreale, per farci sentire meno in colpa se non ci indigniamo. Probabilmente, dopo Parigi la mostra andrà davvero al Getty. A Roma ancora ignoriamo non quando, ma se le opere esposte ai Musei Capitolini, come garantito allo Stato, «saranno stabilmente destinate alla pubblica fruizione insieme al resto della Collezione».

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