Una bussola per orientarsi fra le opere
Erwin Panofsky scrisse che «perfino uno storico dell’arte» quando scrive in inglese deve sapere prima di tutto ciò che intende e deve intendere ciò che dice. Era implicito che anche chi leggeva, a quel punto, avrebbe inteso.
NON SI PUÒ DIRE lo stesso oggi quando, per esprimere con rapidità concetti complessi, ci si affida al sintetico inglese. Ma se da un lato complessità non si lascia comprimere e l’abuso di frasi e sigle può risultare ostico e magari fuorviante, è un fatto che la produzione ingente di testi di pedagogia in inglese contiene categorie ed espressioni ormai impensabili in altro idioma (pare che per essere credibile, e finanziabile, un progetto di ambito didattico – ma non solo – ne debba contenere un tot).
Anche Maria Stella Bottai usa questo lessico in Insegnare storia dell’arte. Strumenti e metodi sperimentali per le scuole superiori (Carocci, pp. 128, euro 14) ma in modo sorridente, sciogliendo gli acronimi, e molto a ragion veduta.
È un progetto ambizioso quello di questo manuale, che in un formato relativamente piccolo dà conto degli strumenti attualmente a disposizione della innovazione didattica che si avvale del digitale e, colmando un vuoto, indica la direzione del navigare. Nasce dall’esperienza di docente in un liceo della provincia di Roma, nell’Accademia di belle arti di Frosinone e alla Sapienza Università di Roma, nonché dalla collaborazione con Antonella Sbrilli, che insegna Storia dell’arte contemporanea sempre alla Sapienza, è studiosa dei rapporti tra Arte e Gioco, e con la quale Bottai è coautrice del blog Art’usi.
NELLA PREFAZIONE Susanna Sancassani ricorda che i sistemi complessi sono delicati perché contengono in sé gli elementi essenziali e le loro interazioni. Forse non esiste un ambito più «esposto» alle interazioni di quello dell’insegnamento e dell’apprendimento in una fase in cui gli insegnanti sono indietro, come conoscenze digitali, rispetto alla generazione degli studenti che hanno in classe.
Bottai propone una bussola articolata su dieci concetti e capitoli: Avviare, Progettare, Assemblare, Giocare, Connettere, Espandere, Valutare, Creare, Concludere. Ognuno di questi contiene indirizzi, metodologie e soprattutto riflessioni. La riflessione centrale sembrerebbe scontata: l’insegnante deve avere chiaro l’obiettivo che si pone. Su quello si modulano gli strumenti, quelli digitali ma non solo, su quello si imposta la valutazione finale. E l’obiettivo specifico non dovrebbe aver niente a che vedere con quanti video si vedono in classe, con quante visite virtuali si fanno in musei o altri siti…
SI PARTE dalla vexata quaestio della scelta del libro di testo (cartaceo/con elementi online messi a disposizione dalle case editrici; ebook entrato in uso durante il recente periodo della didattica a distanza) in attesa di una normativa che permetta agli insegnanti di assemblare il proprio libro di testo. E magari anche di un mondo nuovo in cui sia infine possibile abbattere il muro delle ore e degli spazi che separano le discipline rendendo l’interdisciplinarietà un’araba fenice.
IL CAPITOLO sul «Gioco» è al centro del volume, ed è quello forse più interessante anche per i non addetti ai lavori. Un esempio: se nel libro di testo poche parole «liquidano» il Trionfo della divina provvidenza di Pietro da Cortona a Palazzo Barberini, insieme agli studenti si cercano hashtag che definiscano l’opera; si postano sulla pagina Facebook del Museo e, a questo punto, parte un gioco al rialzo a chi ne mette di più. Il risultato è aggregare concetti alle definizioni/hashtag e memorizzare. L’effetto ottenuto è «saperne» di più ma soprattutto «desiderare di saperne» di più. Non è forse questo il cuore della conoscenza?
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento